Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Togliere il welfare agli Stati per costruire l’Europa sociale

Postato il 9 Aprile 2014 | in Italia, Mondo, Scenari Politico-Sociali | da

Togliere il welfare agli Stati per costruire l’Europa sociale

di Giuseppe Bronzini (Il Manifesto)

Il 15 marzo il Par­la­mento euro­peo ha appro­vato due riso­lu­zioni sul ruolo della Troika nelle poli­ti­che di gestione della crisi e di assi­stenza ai paesi in dif­fi­coltà. Sin­te­tiz­zando: macel­le­ria sociale di dub­bia lega­lità. È cer­ta­mente iro­nico che parole così forti siano state pro­nun­ciate da un organo in sca­denza, che quando doveva e poteva farlo ha ceduto il comando al Con­si­glio euro­peo e, per esso, al Diret­to­rio della Ger­ma­nia e dei suoi stretti alleati. Tut­ta­via le indi­ca­zioni dell’Assemblea di Stra­sburgo tra­scen­dono il piano della cri­tica tar­diva delle poli­ti­che del rigore e dei sacri­fici. Si cerca di guar­dare al futuro e di pre­fi­gu­rare lo sce­na­rio di un’Europa più sen­si­bile alle que­stioni sociali. È la que­stione cen­trale: la leva per arri­vare dav­vero a un’entità poli­tica sovra­na­zio­nale.

A Lisbona nel 2000 si decise che cre­scita, occu­pa­zione e inclu­sione sociale doves­sero mar­ciare insieme. Non attra­verso atti vin­co­lanti e un governo eco­no­mico euro­peo, ma con il coor­di­na­mento delle poli­ti­che interne. Si cercò di indi­vi­duare quali fos­sero le misure sociali più inclu­sive e al tempo stesso più effi­cienti; attra­verso anni di con­fronto e di valu­ta­zione con­giunta delle scelte nazio­nali (con il cosi­detto «metodo aperto di coor­di­na­mento») si sono sele­zio­nate le best prac­ti­ses euro­pee, quelle poli­ti­che che sanno dav­vero pro­muo­vere le scelte dei sin­goli senza rele­garli neces­sa­ria­mente nella cami­cia di forza di rela­zioni con­trat­tuali rigide e mor­ti­fi­canti la loro crea­ti­vità. Si è acqui­sita la con­sa­pe­vo­lezza della neces­sità di sistemi di wel­fare mutuati sul «cittadino-laborioso» e non sulla figura di lavo­ra­tore «stan­dard», oggi decli­nante nella fine della «società dell’impiego» pre­co­niz­zata da Alain Supiot già nel 1999. Que­sto pro­cesso ha gene­rato solo indi­ca­zioni, non obbli­ghi giu­ri­dici vin­co­lanti. Dal 1998 si discute in Ita­lia dell’introduzione di una forma di garan­zia uni­ver­sa­li­stica dei minimi vitali, oggi si sono tro­vati 10 miliardi che però saranno elar­giti a chi ha già un lavoro fisso, ancor­ché poco retri­buito, lasciando senza pro­te­zione milioni di indi­genti.

Allen­tare o rimuo­vere le poli­ti­che di auste­rity, quindi, non deve signi­fi­care tor­nare alla piena discre­zio­na­lità nazio­nale, soprat­tutto per i paesi che l’hanno uti­liz­zata così mala­mente. La scom­messa è un’altra: la costru­zione di un wel­fare euro­peo che sia il sostrato con­te­nu­ti­stico dell’auspicata Europa unita. Si dovrebbe per­tanto com­piere uno sforzo pro­po­si­tivo su poche misure sim­bo­li­ca­mente ecla­tanti e con­vin­centi per la loro inci­si­vità, per recu­pe­rare il favore popo­lare: una Carta di riven­di­ca­zioni sociali, red­dito minimo garan­tito, sala­rio minimo, un sistema uni­ta­rio di assi­cu­ra­zione con­tro la disoc­cu­pa­zione, regole sui ser­vizi di inte­resse pub­blico e sui beni comuni. Alcune di que­ste misure potreb­bero essere, in parte, finan­ziate diret­ta­mente dall’Unione sulla base di entrate pro­prie (car­bon tax, cor­po­ra­tion tax), senza scon­vol­gere l’attuale archi­tet­tura dei Trat­tati.

Sino a oggi la pole­mica anti­so­vra­ni­sta si è con­cen­trata sull’essere gli Stati «signori dei Trat­tati». Ma a ben guar­dare sono anche «signori della soli­da­rietà»: nei wel­fare moderni, infatti, la lealtà e il con­senso poli­tico sono scam­biati, come mostrò Claus Offe negli anni ’70, con le pre­sta­zioni sociali. Pri­vare le classi poli­ti­che nazio­nali di que­sto mec­ca­ni­smo di legit­ti­ma­zione, ridi­slo­can­dolo a livello sovra­na­zio­nale, forse ci avvi­ci­ne­rebbe dav­vero a un destino federale.

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