Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

La strage nel porto di Genova non è una fatalità

Postato il 13 Maggio 2013 | in Italia, Scenari Politico-Sociali | da

Il 7 maggio si è consumato, questa volta nel porto di Genova, l’ennesimo incidente sul lavoro che ad oggi ha provocato la morte di 8 lavoratori.

Solo in questa circostanza, come al solito, i giornali e televisioni hanno parlato in maniera diffusa del disastro, secondo le ciniche regole del giornalismo per le quali si parla del lavoro solo quando registriamo licenziamenti, se il numero dei morti è superiore alla media o se l’incidente assume dimensioni e spettacolarità di rilevanza mediatica.

Gli stessi giornali e televisioni tacciono, invece, sullo stillicidio continuo di morti sul lavoro (4 al giorno) perché rientrano “nella media” o non hanno contenuti spettacolari.

Sulle cause della tragedia del 7 maggio non ci sono ancora certezze.

Ma, come al solito, è fuorviante parlare di “tragica fatalità”, visto che in ogni incidente sul lavoro non esiste la fatalità ma la omissione volontaria di regole e obblighi da rispettare.

Nell’usuale scarico di responsabilità che ha seguito l’incidente in cui la portacontainer Jolly Nero ha colpito, distruggendola, la torre piloti del molo Giano del porto di Genova, stanno però emergendo alcuni elementi che stanno contribuendo a chiarire le cause dell’incidente.

Stando a quanto riportato dai giornali, la Jolly Nero stava manovrando con il telegrafo di bordo (il normale sistema di comunicazione tra plancia e sala macchine) non funzionante e sostituito da walkie-talkie.

La deriva della nave, che i rimorchiatori da manovra non erano assolutamente in grado di arrestare, e il suo successivo urto contro la torre è stato causato dalla mancata riaccensione dei motori di trazione dopo l’inversione di marcia, tra marcia indietro e marcia avanti.

Quasi sicuramente quindi l’incidente della Jolly Nero, varata nel 1976 e quindi non certo una nave moderna, è stato causato da avarie ai sistemi di comunicazione e di manovra della nave.

Si cominciano a delineare quelle che potrebbero essere state le vere cause dell’incidente: scarsa manutenzione e scarsi controlli dei sistemi di comunicazione e manovra. Altro che tragica fatalità!

Il tutto in un ambito lavorativo, quello portuale, che non ammette ritardi, scandito da ritmi di lavoro tiratissimi per non fermare la nave in porto un minuto in più di quanto programmato.

La stessa logica del profitto causa migliaia di infortuni in tutti i porti italiani, tra operatori a terra e sulle navi, ma nessuno ne parla.

Dalla analisi dell’incidente di Genova emerge un altro elemento che sicuramente, se non la causa primaria, è stato il motivo del crollo della torre di comando.

Come di vede chiaramente dalle immagini della torre di comando prima del crollo, essa è stata costruita a ridosso dal mare, in un ambiente, quello del porto di Genova, caratterizzato da ristrettissimi spazi di manovra per le navi e pochissimi margini di recupero in caso di errata manovra.

La torre non è stata riparata da nessuna protezione in grado di proteggerne l’esile struttura, a seguito di urto da parte di navi.

Quasi sicuramente, se la base della torre fosse stata protetta da una struttura, da un muro, da una barriera in cemento armato e acciaio in grado di assorbire l’urto di una nave, essa non sarebbe crollata in maniera distruttiva come invece è successo.

Anche in questo caso si è risparmiato, sempre nell’ottica del massimo profitto, nella progettazione e nella realizzazione di un sistema di protezione della torre, con le tragiche conseguenze che ne sono derivate.

La sicurezza nei luoghi di lavoro non può essere una variabile dipendente dai margini di profitto

Confederazione Cobas

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