Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Documenti sull’accordo intercofederale del 31/05/2013 – avv.Bonetto – sentenza Corte Costituzionale

Postato il 17 Settembre 2013 | in Italia, Lavoro Privato, Lavoro Pubblico, Scenari Politico-Sociali, Sindacato | da
Poniamo all’attenzione dei lettori e delle lettrici una serie di documenti  sull’accordo interconfederale ratificato il 31 maggio 21013, la sentenza della Corte Costituzionale e il commento dell’avvocato Bonetto.

Leggi anche gli allegati

PROTOCOLLO D’INTESA
Con la presente intesa le parti intendono dare applicazione all’accordo del 28 giugno 2011 in materia di rappresentanza e rappresentatività per la stipula dei Contratti Collettivi Nazionali di Lavoro, fissando i principi ai quali ispirare la regolamentazione attuativa e le necessarie convenzioni con gli enti interessati.
Le disposizioni della presente intesa si applicano alle Organizzazioni firmatarie e sono inscindibili in ogni parte.
Misurazione della rappresentatività.
1. Come definito al punto 1 dell’accordo 28 giugno 2011, la certificazione della rappresentatività delle organizzazioni sindacali, ai fini della contrattazione collettiva di categoria, assume i dati associativi riferiti alle deleghe relative ai contributi sindacali conferite da lavoratrici e lavoratori e i consensi ottenuti (voti espressi) dalle organizzazioni sindacali in occasione delle elezioni delle RSU.
2. Il numero delle deleghe viene acquisito e certificato dall’INPS, tramite un’apposita sezione nelle dichiarazioni aziendali (Uniemens), predisposta a seguito di convenzione fra Inps e le parti stipulanti il presente accordo. L’INPS, una volta elaborato il dato di rappresentatività relativo ad ogni organizzazione sindacale per ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro di competenza, lo trasmetterà al CNEL.
3. Ai fini della misurazione del voto espresso da lavoratrici e lavoratori nella elezione della Rappresentanza Sindacale Unitaria varranno esclusivamente i voti assoluti espressi per ogni Organizzazione Sindacale aderente alle confederazioni firmatarie della presente intesa. Lo stesso criterio si applicherà alle RSU in carica, elette cioè nei 36 mesi precedenti la data in cui verrà effettuata la misurazione.
Laddove siano presenti RSA, ovvero non vi sia alcuna forma di rappresentanza, sarà rilevato il solo dato degli iscritti (deleghe certificate) per ogni singola organizzazione sindacale.
4. I dati relativi ai voti espressi, come risultanti dai verbali di elezione delle RSU, saranno raccolti, se possibile, tramite i Comitati Provinciali dei Garanti di cui all’accordo interconfederale 20 dicembre 1993, o analogo organismo , e trasmessi al CNEL. Il CNEL raccoglierà i dati relativi ai voti per ambito contrattuale e per organizzazione e, unitamente ai dati relativi agli iscritti ricevuti dall’INPS, ne effettuerà la ponderazione al fine di determinare la rappresentanza per ogni singola organizzazione sindacale aderente alle Confederazioni firmatarie della presente intesa e per ogni contratto collettivo nazionale di lavoro.
5. La certificazione della rappresentatività di ogni singola organizzazione sindacale aderente alle Confederazioni firmatarie della presente intesa, utile per essere ammessa alla contrattazione collettiva nazionale, così come definita nell’intesa del 28/6/2011 (ossia il 5%), sarà determinata come media semplice fra la percentuale degli iscritti (sulla totalità degli iscritti) e la percentuale dei voti ottenuti nelle elezioni delle RSU (sul totale dei votanti), quindi, con un peso pari al 50% per ognuno dei due dati.
6. Fermo restando quanto già sopra definito in materia di RSU, nonché uanto previsto dall’accordo del 28/6/2011, le parti convengono che:
• viene confermato il principio stabilito nell’Accordo Interconfederale del 20 dicembre 1993, ossia che le organizzazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie della presente intesa, o che comunque ad essa aderiscano, partecipando alla procedura di elezione delle RSU, rinunciano formalmente ed espressamente a costituire RSA ai sensi della legge n. 300/70;
• le organizzazioni sindacali aderenti alle Confederazioni firmatarie della presente intesa, o che comunque ad essa aderiscano, nelle realtà in cui siano state o vengano costituite le RSU, si impegnano a non costituire RSA;
• In ragione della struttura attuale della rappresentanza, che vede la presenza di RSU o RSA, il passaggio alle elezioni delle RSU potrà avvenire solo se definito unitariamente dalle Federazioni aderenti alle Confederazioni firmatarie il presente accordo.
• le RSU scadute alla data di sottoscrizione dell’intesa saranno rinnovate nei successivi sei mesi;
• le RSU saranno elette con voto proporzionale;
• il cambiamento di appartenenza sindacale da parte di un componente la RSU ne determina la decadenza dalla carica e la sostituzione con il primo dei non eletti della lista di originaria appartenenza del sostituito.
7. Confindustria, Cgil, Cisl e Uil si impegnano a rendere coerenti le regole dell’accordo interconfederale del dicembre 1993, con i suddetti principi, anche con riferimento all’esercizio dei diritti sindacali e, segnatamente, con quelli in tema di diritto di assemblea in capo alle Organizzazioni sindacali firmatarie della presente intesa, titolarità della contrattazione di secondo livello e diritto di voto per l’insieme dei lavoratori dipendenti.
Titolarità ed efficacia della contrattazione
1. Sono ammesse alla contrattazione collettiva nazionale le Federazioni delle Organizzazioni Sindacali firmatarie del presente accordo che abbiano, nell’ambito di applicazione del contratto collettivo nazionale di lavoro, una rappresentatività non inferiore al 5%, considerando a tale fine la media fra il dato associativo (percentuale delle iscrizioni certificate) e il dato elettorale (percentuale voti ottenuti su voti espressi).
2. Nel rispetto della libertà e autonomia di ogni Organizzazione Sindacale, le Federazioni di categoria – per ogni singolo CCNL – decideranno le modalità di definizione della piattaforma e della delegazione trattante e le relative attribuzioni con proprio regolamento.
In tale ambito, e in coerenza con le regole definite nella presente intesa, le Organizzazioni Sindacali favoriranno, in ogni categoria, la presentazione di piattaforme unitarie.
Fermo restando quanto previsto al precedente punto 1, in assenza di piattaforma unitaria, la parte datoriale favorirà, in ogni categoria, che la negoziazione si avvii sulla base della piattaforma presentata da organizzazioni sindacali che abbiano complessivamente un livello di rappresentatività nel settore pari almeno al 50% +1.
3. I contratti collettivi nazionali di lavoro sottoscritti formalmente dalle Organizzazioni Sindacali che rappresentino almeno il 50% +1 della rappresentanza, come sopra determinata, previa consultazione certificata delle lavoratrici e dei lavoratori, a maggioranza semplice – le cui modalità saranno stabilite dalle categorie per ogni singolo contratto – saranno efficaci ed esigibili. La sottoscrizione formale dell’accordo, come sopra descritta, costituirà l’atto vincolante per entrambe le Parti.
4. Il rispetto delle procedure sopra definite comporta, infatti, oltre l’applicazione degli accordi all’insieme dei lavoratori e delle lavoratrici, la piena esigibilità per tutte le organizzazioni aderenti alle parti firmatarie della presente intesa. Conseguentemente le Parti firmatarie e le rispettive Federazioni si impegnano a dare piena applicazione e a non promuovere iniziative di contrasto agli accordi così definiti.
5. I contratti collettivi nazionali di categoria, approvati alle condizioni di cui sopra, dovranno definire clausole e/o procedure di raffreddamento finalizzate a garantire, per tutte le parti, l’esigibilità degli impegni assunti e le conseguenze di eventuali inadempimenti sulla base dei principi stabiliti con la presente intesa.
6. Le parti firmatarie della presente intesa si impegnano a far rispettare i principi qui concordati e si impegnano, altresì, affinché le rispettive strutture ad esse aderenti e le rispettive articolazioni a livello territoriale e aziendale si attengano a quanto concordato nel presente accordo.
7. Le parti sono impegnate, nel rispetto di quanto definito, a monitorare la puntuale attuazione dei principi qui concordati, nonché a concordare modalità di definizione di eventuali controversie sorte come conseguenza della loro concreta applicazione.
CONFINDUSTRIA CGIL CISL UIL
 ROMA, 31 MAGGIO 2013

 

Prima dell’Accordo del 31 Maggio 2013

Dopo l’accordo del 31 Maggio 2013

 

…..dalla padella …..

…..alla brace…..

 

   RSU

1

L’indizione delle elezioni RSU in presenza di RSA può essere fatta anche dai non firmatari accordo del ’93. L’indizione delle elezioni per RSU in aziende in cui vi siano le RSA può essere fatta soltanto dai firmatari dell’accordo del 31 maggio.

2

La partecipazione alle elezioni delle RSU per i non firmatari dell’accordo del ’93 è possibile a condizione di un’adesione alla sola parte dell’accordo relativa alla rappresentanza. La partecipazione alle elezioni delle RSU per i non firmatari dell’accordo del 31 maggio è possibile a condizione di un’adesione a tutti i punti contenuti nell’accordo del 31 maggio, compreso l’impegno a non dissentire su accordi firmati dalla maggioranza delle RSU e ad accettare limitazioni al diritto di sciopero ed eventuali sanzioni previste dal CCNL.

3

Sistema elettorale con 1/3 riservato ai firmatari di contratto nazionale. Sistema elettorale proporzionale.

4

Un singolo RSU che cambia organizzazione sindacale mantiene il proprio ruolo di RSU (salvo specifico accordo). Se uno o più RSU, a seguito di contrasti con la propria organizzazione, decidesse di aderire ad altro sindacato, decadrebbe  dalla carica di RSU e gli succederebbe il primo non eletto della precedente organizzazione.

5

Diritti sindacali in capo al singolo RSU (esempio Assemblea, anche se norma controversa). Diritti in capo alle ooss firmatarie l’accordo del 31 maggio.

6

Chi partecipa alle RSU rinuncia alle RSA. Chi partecipa alle RSU rinuncia alle RSA.

 

   MISURAZIONE DELLA RAPPRESENTANZA

7

Non esisteva per nessun sindacato del settore privato. Media del numero degli iscritti e dei voti ottenuti nelle RSU per i soli sindacati firmatari dell’accordo del 31 maggio.

La misurazione continua a non esistere per i sindacati che non sono firmatari dell’accordo del 31 maggio.

8

Le deleghe in busta paga sono prerogativa dei sindacati firmatari di CCNL.Le deleghe in busta paga sono obbligatorie solo verso i sindacati firmatari del CCNL, ma sono necessarie per misurare la rappresentatività per i soli sindacati firmatari dell’accordo del 31 maggio.

 

Continuano a non essere obbligatorie per i sindacati che non sono firmatari dell’accordo del 31 maggio e del CCNL.

9

 La certificazione viene fatta dall’INPS e poi trasmessa al Cnel solo per i sindacati firmatari dell’accordo del 31 maggio.

 

  TITOLARITA’ ED EFFICACIA DELLA CONTRATTAZIONE

10

Non essendovi criteri stabiliti, sono le associazioni datoriali a decidere chi è ammesso alla contrattazione nazionale, a prescindere dalla rappresentatività e in base anche ai rapporti di forza esistenti.Sono ammesse alla contrattazione nazionale solo i sindacati firmatari dell’accordo del 31 maggio che abbiano una media tra iscritti e voti RSU pari ad almeno il 5%. (vedi anche punto 9)

11

Possono esistere Piattaforme contrattuali diverse.Viene discussa la Piattaforma presentata dai sindacati firmatari dell’accordo del 31 maggio che abbiano complessivamente almeno il 50%+1 dei consensi.

12

La validità del contratto formalmente prescinde dalla consistenza numerica dei sindacati che lo sottoscrivono.La validità del contratto è legata alla sottoscrizione dei sindacati firmatari dell’accordo del 31 maggio che rappresentano almeno il 50%+1 dei lavoratori iscritti alle organizzazioni sindacali firmatarie dell’accordo del 31 maggio.

13

Non esiste validità del contratto erga omnes in quanto non esiste legge attuativa dell’articolo 39 della costituzione e quindi il singolo lavoratore non iscritto o iscritto a un sindacato non firmatario, può richiedere la non applicazione del contratto peggiorativo.Validità del contratto erga omnes nonostante  non esista legge attuativa dell’articolo 39 della costituzione. Accordo quindi “incostituzionale” che impedirebbe al singolo lavoratore non iscritto o iscritto a un sindacato non firmatario di richiedere la non applicazione del contratto peggiorativo.

14

Nessun obbligo di voto tra i lavoratori ma a volte i contratti nazionali vengono sottoposti a referendum.Consultazione tra i lavoratori le cui modalità sono decise nei singoli contratti. Quindi non obbligo del Referendum.

15

Nessun divieto di sciopero, se non nei casi previsti dalla legge, o di azione giudiziaria contro accordi firmati, nessuna sanzione per sindacati e lavoratori se non si rispetta la piena esigibilità degli impegni assunti.Divieto di sciopero o di azione giudiziaria contro accordi firmati. Specifiche misure di raffreddamento e sanzioni se non si rispetta la piena esigibilità degli impegni assunti.

 

Conclusioni

Prima di questo accordo la democrazia e le libertà sui posti di lavoro erano fortemente limitate e segnate dalla piena discrezionalità delle aziende e da un ruolo di Cgil, Cisl e Uil esteso e onnicomprensivo, che lasciava però alcuni spazi di agibilità ai lavoratori ed alle organizzazioni sindacali che dissentivano.

Dopo questo accordo la democrazia e le libertà sui posti di lavoro vengono ancor più drasticamente limitate. Aumenta la già smisurata discrezionalità delle aziende e il ruolo di Cgil, Cisl e Uil diventa monopolio. Insieme, aziende e  Cgil, Cisl e Uil, infrangono l’articolo 39 della Costituzione italiana.

CGIL-CISL-UIL  RITROVANO L’UNITA’…CONTRO I LAVORATORI

L’accordo Cgil-Cisl-Uil-Confindustria del 31.5.13 è la logica conseguenza dell’insulso inciucio che ha costruito il governo Letta , finalizzato alla logica corporativa della “ pace sociale”,imposta con il blocco salariale-conflittuale e con l’esclusione del sindacalismo di base dalla rappresentanza..

Questo accordo ,definito entusiasticamente dai contraenti “ storico”, è l’evoluzione applicativa di quello sottoscritto il 28.6.11 , con il quale si rendeva superfluo il CCNL , attraverso le famigerate “deroghe” a stipulare nei contatti aziendali materie di pertinenza del CCNL.

Qui “ in più” c’è la soluzione-scambio del superamento degli “ accordi separati”, per una rinnovata,rigida e complice concertazione ai danni dei lavoratori..

La soluzione passa per una misurazione certificata della rappresentanza  dei firmatari dell’intesa : chi supera il 5% tra deleghe e voti Rsu , non può essere escluso dai tavoli contrattuali.

Lo scambio sta nella “ validità erga omnes” degli accordi e nel divieto di sciopero, pena sanzioni economico-normative, imposto su quanto accordato nel CCNL,contratti 2°livello e/o aziendali.

Con questo meccanismo truffaldino e anticostituzionale , i Confederali pensano di potere tirare a campare nella crisi , nel tentativo di soffocare rivendicazioni e rivolte.

L’approvazione della Fiom all’accordo non deve meravigliare, ne farsi trarre in inganno dal suo mediatico agitarsi politico : la Fiom resta allineata e coperta con la gestione Cgil-Camusso, lo dimostrano le quotidiane sottoscrizioni di accordi aziendali concertativi,quelli che escludono o continuano ad osteggiare la rappresentanza ai Cobas.

Va da se che con l’esclusione dalla rappresentanza sindacale del sindacalismo di base, i compari non raggiungono lo scopo del consenso. Anzi questo rafforzamento del  monopolio in tempi di

“crisi di identità”  sta lì a dimostrare la loro debolezza e caducità , di fronte alla incontenibile richiesta di lavoro-reddito-diritti-dignità che sale nel Paese.

IL DIRITTO DI SCIOPERO NON SI TOCCA ! E’ un naturale diritto di libertà sancito dalla Costituzione, che né le leggi che lo limitano, né  accordi capestro come questo saranno mai in grado di bloccare l’insorgenza sociale, che quando esplode consuma qualsiasi ostacolo.

IL DIRITTO ALLA RAPPRESENTANZA DEMOCRATICA, non può essere conculcato da questa ulteriore forma di protezionismo. La strada maestra è la Legge sulla Rappresentanza, già sollecitata più volte anche dalla Corte Costituzionale, chiamata a valutare la vetustà dell’art.19  L.300/70.

“L’ERGA OMNES”- la validità degli accordi estesa a tutti i lavoratori – non può essere carpita con questi furfanti mezzucci : solo il referendum  che raggiunge il quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto, può assumere la “validità erga homnes”.

La Confederazione Cobas nel mentre denuncia e contrasta questa infame porcata , continua la sua imperterrita opera di sostegno alle rivendicazioni dei lavoratori e dei ceti popolari , così come si fa carico di contribuire alla ricomposizione delle forze sociali intese alla trasformazione della società.

Roma  4.6.13

  CONFEDERAZIONE  COBAS

La Consulta nella sentenza sul giudizio di illegittimità dell’art. 19 comma 1 dello Statuto dei lavoratori stabilisce che consentendo i diritti d rappresentanza sindacale ai soli firmatari del contratto applicato in azienda, si minano i “valori del pluralismo e libertà di azione della organizzazione sindacale” violando tre articoli della Costituzione. Di seguito pubblichiamo il testo integrale della sentenza.
SENTENZA N. 231
ANNO 2013
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), promossi dal Tribunale ordinario di Modena con ordinanza del 4 giugno 2012, dal Tribunale ordinario di Vercelli con ordinanza del 25 settembre 2012 e dal Tribunale ordinario di Torino con ordinanza del 12 dicembre 2012, rispettivamente iscritte ai nn. 202 e 287 del registro ordinanze 2012 e al n. 46 del registro ordinanze 2013, pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 40 e 51, prima serie speciale, dell’anno 2012 e n. 11, prima serie speciale, dell’anno 2013.
Visti gli atti di costituzione della FIOM – Federazione Impiegati Operai Metalmeccanici – Federazioni Provinciali di Modena, di Vercelli e Valsesia e di Torino, della Case New Holland Italia s.p.a., della Maserati s.p.a., della Ferrari s.p.a., della Fiat Group Automobiles s.p.a., e della Abarth & C. s.p.a. ed altri, nonché gli atti di intervento della CGIL – Confederazione Generale Italiana del Lavoro, Filcams-CGIL Federazione Italiana Lavoratori Commercio, Alberghi, Mense e Servizi e Filcams-CGIL di Milano e Provincia, della FNSI – Federazione nazionale della stampa italiana, della Unione Industriale della Provincia di Torino e del Presidente del Consiglio dei ministri (fuori termine nel giudizio iscritto al r.o. n. 287 del 2012);
udito nell’udienza pubblica del 2 luglio 2013 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli;
uditi gli avvocati Franco Scarpelli e Amos Andreoni per la CGIL -Confederazione Generale Italiana del Lavoro, per la Filcams-Cgil – Federazione Italiana Lavoratori Commercio, Alberghi, Mense e Servizi, e per Filcams-CGIL di Milano e Provincia, Bruno Del Vecchio per la FNSI – Federazione nazionale della stampa italiana, Paolo Tosi per l’Unione Industriale della Provincia di Torino, Vittorio Angiolini, Piergiovanni Alleva e Franco Focareta per la FIOM – Federazione Impiegati Operai Metalmeccanici – Federazioni Provinciali di Modena, di Vercelli e Valsesia e di Torino, Roberto Nania, Raffaele De Luca Tamajo e Diego Dirutigliano per Case New Holland Italia s.p.a., Maserati s.p.a. e Ferrari s.p.a., per Fiat Group Automobiles s.p.a. e per Abarth & C. Italia s.p.a. ed altri e l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di più giudizi civili riuniti, promossi ai sensi art. 28 della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), di seguito anche Statuto dei lavoratori, nei confronti di società del Gruppo FIAT (Case New Holland Italia s.p.a., Maserati s.p.a. e Ferrari s.p.a.), su ricorso della FIOM (Federazione impiegati operai metalmeccanici) della Provincia di Modena – alla quale le resistenti avevano disconosciuto il diritto a costituire rappresentanze sindacali aziendali (e, conseguentemente, ad avvalersi delle prerogative di cui al Titolo III del predetto Statuto), in ragione della mancata sottoscrizione del contratto collettivo, applicato nelle rispettive unità produttive, da parte di essa ricorrente, che pure aveva attivamente partecipato alla correlativa negoziazione – l’adito Tribunale ordinario di Modena, dopo aver rilevato in premessa che i diritti in contestazione risultavano effettivamente riservati alle sole organizzazioni “firmatarie” dei contratti in questione, per testuale dettato dell’articolo 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, a suo avviso non suscettibile di interpretazione adeguatrice in senso estensivo, ha ritenuto, per ciò, rilevante e, in riferimento agli artt. 2, 3 e 39 Cost., non manifestamente infondata, ed ha quindi sollevato, con l’ordinanza in epigrafe (r.o. n. 202 del 2012), questione di legittimità costituzionale del predetto articolo 19.
Secondo il rimettente, il criterio selettivo ivi dettato – nella parte, appunto, in cui legittima l’esclusione dal godimento dei diritti in azienda di un sindacato, pur effettivamente rappresentativo, per il solo fatto che non abbia sottoscritto il contratto applicato in quella unità produttiva – si porrebbe, infatti, in contrasto con gli evocati parametri costituzionali:
– per l’irragionevolezza «nell’attuale condizione di rottura dell’unità sindacale» di una soluzione imperniata «sul dato formale della sottoscrizione del contratto applicato e sganciato da qualsiasi raccordo con la misura del consenso dei rappresentati»;
– per la negativa incidenza sulla decisione dell’associazione sindacale in ordine alla sottoscrizione del contratto collettivo, che ne risulta «condizionata non solo dalla finalità di tutela degli interessi dei lavoratori, secondo la funzione regolativa propria della contrattazione collettiva, bensì anche dalla prospettiva di ottenere (firmando) o perdere (non firmando) i diritti del Titolo III»;
– per la irragionevole difformità di trattamento, che ne consegue, «tra associazioni sindacali dotate tutte di pari capacità rappresentativa, e tutte partecipanti nella stessa misura alle trattative volte alla stipula del contratto collettivo, e che tuttavia non godono all’interno dell’azienda delle stesse prerogative a tutela degli interessi dei lavoratori da esse rappresentati solo in ragione del dissenso espresso avverso la stipula di contratti aziendali».
1.1.– Nel giudizio innanzi alla Corte si è costituita la FIOM-Federazione provinciale di Modena, sostenendo l’ammissibilità e la fondatezza nel merito della proposta questione, facendo proprie le argomentazioni addotte dal rimettente ed affermando, in particolare, che per rappresentare efficacemente i lavoratori, e proprio per volerne essere rappresentativo, il sindacato non deve solo firmare, ma talora astenersi dal sottoscrivere il contratto collettivo. Storicamente – aggiunge la FIOM – «ormai la contrattazione collettiva ha perso il carattere acquisitivo che ha avuto per molto tempo. Oggi, non solo negli accordi gestionali delle situazioni di crisi, ma anche nei rinnovi nazionali la stessa contrattazione collettiva ha sovente un prevalente contenuto ablativo, e la forza del sindacato si manifesta non tanto nella capacità di acquisire nuovi diritti ad ogni tornata contrattuale, come è avvenuto per tanto tempo, quanto nella capacità di resistere alle sempre più pressanti ed estese richieste di flessibilità avanzate dalle imprese».
1.2.– Si sono costituite anche Case New Holland Italia s.p.a., Maserati s.p.a. e Ferrari s.p.a., eccependo preliminarmente l’inammissibilità della proposta questione, sia sotto il profilo della riproposizione di questione identica a quella già decisa da questa Corte con la sentenza n. 244 del 1996, sia riguardo al profilo della «perplessità» e «indecifrabilità» della motivazione dell’ordinanza di rimessione; ed aggiungendo che, ove si tratti di richiesta demolitoria, la questione in oggetto sarebbe comunque inammissibile per difetto di rilevanza; e che «qualora poi il petitum sia di carattere additivo, l’ordinanza omette di indicare in maniera sufficientemente circostanziata il verso della pretesa addizione, ossia il contenuto normativo che sarebbe necessario aggiungere alla disposizione indubbiata».
Nel merito, le società costituite ne deducono, «in via del tutto subordinata», l’infondatezza, sia in relazione al prospettato vizio di ragionevolezza, sia in relazione al cosidetto cambiamento di scenario sindacale, in quanto «il dato costituzionale e quello giurisprudenziale convergono nel senso che la capacità rappresentativa del sindacato ai fini dell’attivazione della normativa di sostegno non è un fattore esclusivamente aprioristico, bensì una qualità che trova la sua compiuta realizzazione nella vicenda contrattuale. Ciò vuol dire che ai fini dell’utilizzo delle misure di sostegno in azienda non è sufficiente l’astratta testimonianza degli interessi dei lavoratori iscritti, ma anche l’assunzione di una concreta responsabilità contrattuale».
1.3.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, eccependo preliminarmente la irrilevanza, e, quindi, la inammissibilità della questione, atteso che l’eventuale declaratoria di illegittimità dell�art. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori determinerebbe il venir meno del criterio della sottoscrizione dei contratti quale criterio selettivo per l’accesso ai diritti di cui al Titolo III dello Statuto ma, in assenza di un diverso criterio selettivo, non darebbe titolo all’associazione sindacale ricorrente di godere di quei diritti.
Nel merito, l’Autorità intervenuta ritiene infondata la questione.
Sostiene che «la previsione di particolari requisiti di rappresentatività ai fini del riconoscimento dei diritti sindacali di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori, contenuta nelle lettere a) e b) del primo comma dell’art. 19, nella sua formulazione originaria, trovava la propria ratio nell’esigenza di selezionare – attraverso puntuali indici normativi – un sindacato che, per il fatto di essere più rappresentativo di un altro, risultava meritevole di una speciale tutela e, conseguentemente, risultava maggiormente titolato a vedersi riconoscere le prerogative di cui allo Statuto dei lavoratori. Come già evidenziato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 492 del 4 dicembre 1995, tale esigenza permane anche dopo il referendum abrogativo e la finalità della norma nella sua nuova formulazione rimane quella di garantire la suddetta selezione da operarsi sulla base dell’unico parametro della sottoscrizione di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva. Tale parametro consente di valorizzare l’effettività dell’azione sindacale, desumibile dalla partecipazione alla formazione della disciplina contrattuale collettiva quale indicatore di maggiore rappresentatività direttamente conseguibile da ogni organizzazione sindacale in base ai propri atti concreti ed oggettivamente verificabili.».
1.4.– Hanno depositato memoria ad adiuvandum la CGIL, la Filcams-Cgil e le Filcams-Cgil di Milano e Provincia, argomentando la legittimità del proprio intervento e sostenendo la fondatezza dei proposti rilievi di costituzionalità.
1.5.– Con successiva memoria, la Case New Holland Italia s.p.a., la Maserati s.p.a. e la Ferrari s.p.a. hanno eccepito l’inammissibilità degli interventi ad adiuvandum di CGIL e Filcams, e ribadito, altresì, le eccezioni di inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale ordinario di Modena; ulteriormente, infine, argomentandone la ritenuta infondatezza in relazione a ciascuno dei parametri evocati.
1.6.– Anche la FIOM di Modena ha depositato memoria, congiuntamente, per altro, alla FIOM di Vercelli ed a quella di Torino e relativa, quindi, anche ai giudizi di cui alle successive ordinanze dei Tribunale di Vercelli e di Torino.
In detto atto, le tre costituite Federazioni sottolineano, tra l’altro, come l’assetto imposto per la contrattazione collettiva dall’art. 8 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n. 148 – nel dare sostegno ad una contrattazione “separata”, per ciascuna singola azienda – aggravi i vizi di incostituzionalità denunciati dai rimettenti.
1.7.– Ulteriore memoria è stata depositata dalla CGIL e da Filcams nazionale e Filcams di Milano e provincia, per ribadire il rispettivo interesse al proprio intervento ad adiuvandum anche in ragione dei numerosi segnalati casi di organizzazioni, ad esse aderenti, che, pur essendo maggioritarie in azienda per numero di aderenti, vengono escluse dalla titolarità dei diritti sindacali sol perché non firmatarie dei contratti ivi applicati.
Con riguardo al recentissimo Accordo interconfederale del 31 maggio 2013 – che ha posto alla base, sia della titolarità dei diritti sindacali, sia dell’obbligo a trattare, la regola della democrazia bilanciando il criterio associativo con quello elettivo, esattamente al pari di quanto già realizzato da tempo nel settore pubblico (artt. 42 e 43 del d.lgs. n. 165 del 2001) – gli intervenienti hanno poi sottolineato come esso sia «tuttavia limitato al solo ordinamento intersindacale facente capo a CGIL-CISL-UIL-Confindustria, con (momentanea?) esclusione del terziario e degli altri settori (bancari, assicurativi, ecc.) e soprattutto con la conferma della inefficacia di tale Accordo nei confronti delle imprese dissenzienti non associate alla Confindustria come la FIAT».
2.– Ha dubitato della legittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970 anche il Tribunale ordinario di Vercelli (ordinanza r.o. n. 287 del 2012), ravvisando il vulnus, ad opera della norma censurata, agli artt. 2, 3 e 39 Cost., con motivazioni sostanzialmente analoghe e, in parte, testualmente riproduttive di quelle svolte nella ordinanza del Tribunale ordinario di Modena, cui ha fatto adesivamente rinvio.
2.1.– Si è costituita nel relativo giudizio la Fiat Group Automobiles s.p.a. svolgendo le medesime argomentazioni di cui agli atti di costituzione delle società convenute nel giudizio dinanzi al Tribunale ordinario di Modena, sia con riferimento all’inammissibilità sia con riferimento all’infondatezza della questione in esame.
2.2.– Si è costituita anche la FIOM – Federazione provinciale di Vercelli e Valsesia, anch’essa facendo proprie le motivazioni del rimettente, in particolare mettendo in rilievo che il riservare il diritto alla rappresentanza aziendale dei lavoratori ai soli sindacati firmatari di contratti collettivi applicabili all’unità produttiva «può divenire un premio o un privilegio distribuito o negato a misura del solo interesse e degli scopi datoriali, e dunque privo di ogni ragionevole giustificazione di tutela collettiva, piuttosto che essere, come dovrebbe anche secondo lo spirito originario e la lettura sistematica dell’art. 19 entro la trama della l. n. 300 del 1970 data dalla giurisprudenza costituzionale, una funzione rappresentativa, la quale giovi ai lavoratori rappresentati».
2.3.– È intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, svolgendo le medesime argomentazioni di cui all’atto di intervento nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Modena.
2.4.– Ha depositato «atto di intervento e deduzioni» la FNSI (Federazione nazionale della stampa italiana), che, dopo aver premesso di essere l’unico organismo nazionale rappresentativo dei giornalisti in Italia, con conseguente legittimità del suo intervento ad adiuvandum, ha fatto proprie le considerazioni del giudice rimettente.
2.5.– Con memoria depositata il 10 giugno 2013, FIAT Group s.p.a., premessa la inammissibilità dell’intervento ad adiuvandum della FNSI, ha ulteriormente e diffusamente argomentato, in subordine alla eccepita inammissibilità delle questioni sollevate dal Tribunale ordinario di Vercelli, la non fondatezza delle stesse.
Nella prospettiva della norma di riferimento – ha, tra l’altro, sostenuto – «non è sufficiente il consenso come tale (peraltro scollegato dallo specifico processo negoziale, perché dedotto da indici storici e presuntivi); è anche indispensabile, beninteso al fine dell’accesso alle misure di sostegno, che il consenso venga bensì utilizzato per sollecitare le soluzioni contrattuali le più favorevoli possibili agli interessi dei quali si è portatori, ma senza sottrarsi alla dialettica con le altre parti ed al naturale esito compositivo cui è destinata a mettere capo. Allo stesso modo non può essere sufficiente la mera partecipazione alle trattative che non si saldi con un concreto ed effettivo risultato contrattuale».
2.6.– Anche la FIOM Vercelli ha depositato memoria, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle svolte con riguardo al procedimento originato dalla ordinanza r.o. n. 202 del 2012.
3.– A sua volta, il Tribunale ordinario di Torino, con l’ordinanza di rimessione in data 12 dicembre 2012 (r.o. n. 46 del 2013), emessa, nel corso di più giudizi riuniti, tra la FIOM di Torino e varie società del Gruppo FIAT (Abarth & C. s.p.a. ed altre tredici), ha sollevato analoghe questioni di legittimità costituzionale, per contrasto con gli artt. 3 e 39 Cost., dell’art. 19, primo comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui limita la costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali alle sole associazioni firmatarie di contratti collettivi di lavoro applicati nell’unità produttiva.
Rileva anche detto giudice l’anacronismo del disposto in esame, sulla base sia del mutato contesto delle relazioni sindacali che dell’evoluzione del quadro normativo.
3.1.– Si è costituita la FIOM – Federazione provinciale di Torino, con argomentazioni adesive alla prospettazione del giudice a quo.
3.2.– Anche la Abarth & C. s.p.a. e le altre società convenute nel giudizio a quo si sono costituite, svolgendo, in punto di inammissibilità e con riferimento al merito, le medesime argomentazioni formulate dalle società resistenti nel giudizio promosso dal Tribunale ordinario di Modena.
3.3.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, reiterando le eccezioni di inammissibilità e di infondatezza della questione già formulate in relazione alle precedenti ordinanze di rinvio.
3.4.– Ha depositato altresì «atto di intervento» l’Unione industriale della Provincia di Torino che, previamente motivato il proprio interesse alla soluzione della questione sollevata dal Tribunale di Torino, ne ha eccepito la inammissibilità e, in subordine, la non fondatezza, con prospettazione adesiva a quella delle società convenute nel giudizio a quo.
3.5.– In prossimità dell’udienza, hanno depositato memoria, oltre alla FIOM di Torino, che ha ribadito le argomentazioni svolte nel precedente giudizio, anche la Abarth & C. s.p.a. e le altre società costituite, anche in questo caso per ulteriormente illustrare le proprie già formulate eccezioni di inammissibilità e di non fondatezza della questione.
3.6.– Altra memoria è stata depositata dalla Unione industriale della Provincia di Torino. La quale ha, a sua volta, ribadito il proprio interesse rispetto alla sollevata questione di costituzionalità.
Considerato in diritto
1.– Il Tribunale ordinario di Modena ha sollevato, in riferimento agli articoli 2, 3 e 39 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nel testo risultante dall’abrogazione parziale disposta – in esito al referendum indetto con decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1995, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 85 dell’11 aprile 1995 – dal d.P.R. 28 luglio 1995, n. 312 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare, della lettera a e parzialmente della lettera b dell’art. 19, primo comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, sulla costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali, nonché differimento dell’entrata in vigore dell’abrogazione medesima), nella parte in cui consente la costituzione di rappresentanze aziendali alle sole «associazioni sindacali che siano firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva», e non anche a quelle che abbiano comunque partecipato alla relativa negoziazione, pur non avendoli poi, per propria scelta, sottoscritti.
1.1.– La rilevanza della questione è motivata dal rimettente in ragione del fatto che, nei giudizi (riuniti) innanzi a lui pendenti, il sindacato ricorrente (FIOM) aveva denunciato il comportamento antisindacale delle controparti imprenditoriali (varie società del gruppo FIAT), le quali avevano disconosciuto la sua legittimazione a costituire rappresentanze sindacali, nelle rispettive unità produttive, in conseguenza, appunto, della mancata sottoscrizione del contratto collettivo, ivi applicato, da parte di esso sindacato, che pure aveva attivamente partecipato alle trattative che ne avevano preceduto la conclusione.
1.2.– In punto di non manifesta infondatezza del così proposto quesito, il Tribunale a quo, muovendo dalla considerazione che la partecipazione al negoziato è un dato che evidenzia l’effettiva forza contrattuale e, di riflesso, la capacità rappresentativa del sindacato, ne inferisce la «intrinseca irragionevolezza» del criterio selettivo della sottoscrizione del contratto, espresso dalla disposizione denunciata, «nel [l’attuale] momento in cui, applicato a fattispecie concrete, porta ad un risultato che contraddice il presupposto a dimostrazione del quale il criterio stesso era stato elaborato». Risultato cui, appunto, si perverrebbe nei processi a quibus, nei quali, alla luce di quel criterio, «dovrebbe riconoscersi maggior forza rappresentativa alle associazioni firmatarie del contratto […], anziché alla FIOM [che non lo ha sottoscritto], laddove in fatto è incontestato il contrario».
1.3.– La soluzione di una lettura estensiva della espressione “associazioni firmatarie”, nel senso della sua riferibilità anche ad organizzazioni che abbiano comunque partecipato al processo contrattuale – cui, in analoghe controversie, altri giudici di merito sono pervenuti, in funzione di una “interpretazione adeguatrice” al dettato costituzionale della disposizione in esame – non è, preliminarmente, ritenuta condivisibile dal Tribunale rimettente, per l’univocità del dato testuale che inevitabilmente vi si opporrebbe.
Da qui la conclusione che la reductio ad legitimitatem della norma denunciata, in quella delineata direzione estensiva, non possa altrimenti avvenire che attraverso un intervento (evidentemente additivo) di questa Corte.
1.4.– Non ignora, peraltro, il rimettente la sentenza n. 244 del 1996, e la ordinanza n. 345 del 1996, di questa Corte, che hanno, rispettivamente, escluso la fondatezza, e dichiarato poi la manifesta infondatezza, di identiche questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, in riferimento ai medesimi parametri (artt. 3 e 39 Cost.) ora nuovamente evocati. Ma ritiene che quelle pronunzie – legate ad un diverso contesto, connotato dalla unitarietà di azione dei sindacati e dalla unitaria sottoscrizione dei contratti collettivi applicati in azienda, nel quale «ragionevolmente quella sottoscrizione poteva essere assunta a criterio misuratore della forza del sindacato e della sua rappresentatività» – vadano ora «ripensate alla luce dei mutamenti intercorsi nelle relazioni sindacali degli ultimi anni», caratterizzate dalla rottura della unità di azione delle organizzazioni maggiormente rappresentative e dalla conclusione di contratti collettivi “separati”.
Lo scenario delle attuali relazioni sindacali risulterebbe, inoltre, ulteriormente, e profondamente, alterato dal nuovo sistema contrattuale, definito «autoconcluso ed autosufficiente», instaurato dalle società del Gruppo FIAT, le quali, uscite dal sistema confindustriale e recedute dal Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per i metalmeccanici, hanno stipulato, nelle rispettive aziende, un separato contratto collettivo specifico di primo livello, sottoscritto appunto solo da associazioni sindacali diverse dalla ricorrente.
Sarebbe mutato anche il quadro normativo di riferimento, in ragione della copiosa legislazione che ha elevato la contrattazione collettiva a fonte integrativa, suppletiva o derogatoria, della propria disciplina, in correlazione, sempre, ad un parametro di effettiva, e comparativamente maggiore, rappresentatività dei sindacati stipulanti.
Ed, appunto, alla luce di tali nuovi dati di sistema e di contesto, il criterio selettivo di cui alla lettera b) del primo comma del denunciato art. 19 verrebbe ora a «tradire la ratio stessa della disposizione dello Statuto, volta ad attribuire una finalità promozionale e incentivante all’attività del sindacato quale portatore di interesse del maggior numero di lavoratori, che trova una diretta copertura costituzionale nel principio solidaristico espresso dall’art. 2 Cost., nonché nello stesso principio di uguaglianza sostanziale, di cui al secondo comma dell’art. 3 della Costituzione».
Si porrebbe, inoltre, quel criterio, in insanabile contrasto con il precetto dell’art. 39 Cost., incidendo negativamente sulla libertà di azione del sindacato, la cui decisione di sottoscrivere o no un contratto collettivo ne risulterebbe inevitabilmente «condizionata non solo dalla finalità di tutela degli interessi dei lavoratori, secondo la funzione regolativa propria della contrattazione collettiva, bensì anche dalla prospettiva di ottenere (firmando) o perdere (non firmando) i diritti del Titolo III, facenti capo direttamente all’associazione sindacale, potendo le due esigenze, come nella fattispecie in esame, entrare in conflitto, e dovendosi inoltre valutare la necessità, ai fini della sottoscrizione, del consenso e della collaborazione di parte datoriale». Con l’ulteriore conseguenza che, «in ipotesi estrema, ove la parte datoriale decidesse di non firmare alcun contratto collettivo, non vi sarebbe nell’unità produttiva alcuna rappresentanza sindacale».
2.– Sostanzialmente la stessa questione, con coincidenti argomentazioni, è stata sollevata anche dal Tribunale ordinario di Vercelli e dal Tribunale ordinario di Torino.
3.– I giudizi promossi da dette tre ordinanze, avendo il medesimo oggetto, vanno riuniti e decisi con unica sentenza.
4.– In via preliminare, deve essere confermata l’ordinanza adottata nel corso dell’udienza pubblica, ed allegata alla presente sentenza, con la quale sono stati dichiarati inammissibili gli interventi adesivi spiegati dalla CGIL, FILCAMS di Milano e Provincia e dalla Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI) nei giudizi di cui, rispettivamente, all’ordinanza del Tribunale ordinario di Modena ed a quella del Tribunale ordinario di Vercelli, nonché l’intervento ad opponendum dell’Associazione Unione industriale della Provincia di Torino, nel giudizio relativo all’ordinanza del Tribunale di detta città.
5.– È ancora preliminare l’esame delle eccezioni di inammissibilità della questione formulate da tutte le società resistenti nei giudizi a quibus e dal Presidente del Consiglio.
5.1.– Ad avviso delle predette resistenti, l’odierna questione sarebbe, infatti, inammissibile perché identica a quella già decisa, nel senso della non fondatezza, con la sentenza di questa Corte n. 244 del 1996; ovvero per incertezza e perplessità del petitum che comunque, se additivo, «omette[rebbe] di indicare in maniera sufficientemente circostanziata il “verso” della pretesa addizione» e, se demolitorio, renderebbe la questione stessa priva di rilevanza.
Argomento, quest’ultimo, fatto valere anche dall’Avvocatura generale dello Stato, secondo la quale «l’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 19, lettera b), dello Statuto dei lavoratori determinerebbe il venir meno del criterio della sottoscrizione dei contratti quale criterio selettivo per l’accesso ai diritti di cui al Titolo III dello Statuto ma, in assenza di un diverso criterio selettivo, non darebbe titolo all’associazione sindacale di godere di quei diritti».
Con riguardo, poi, alle sole ordinanze dei Tribunali ordinari di Vercelli e di Torino, le società resistenti nei rispettivi processi promossi ai sensi dell’art. 28 della citata legge n. 300 del 1970 hanno ulteriormente eccepito il «difetto di motivazione in punto di (pretesa) non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sotto i profili enunciati», per essersi detti giudici limitati a motivare per relationem all’ordinanza del Tribunale ordinario di Modena.
5.2.– Nessuna delle prospettate eccezioni può essere accolta.
In primo luogo, non è esatto che l’esistenza di una precedente pronuncia di non fondatezza (ed anche di manifesta infondatezza) di una questione (ove pur) identica a quella riproposta dal giudice a quo sia, come si eccepisce, ostativa all’ammissibilità di quest’ultima, potendo un tal precedente unicamente, invece, rilevare nella successiva fase di esame del merito della questione stessa, alla luce degli eventuali nuovi profili argomentativi a suo supporto offerti dal rimettente.
Non è poi sostenibile che il petitum della odierna questione sia incerto o perplesso, poiché ciò che i giudici a quibus chiedono ora a questa Corte – in ragione della prospettata incostituzionalità dell’art. 19, primo comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970 – non è una decisione demolitoria, che effettivamente darebbe luogo ad un vuoto normativo colmabile solo dal legislatore, bensì, inequivocabilmente, una pronuncia additiva che consenta (ciò che, appunto, altri giudici di merito hanno ritenuto di poter direttamente desumere in via di interpretazione sistematica, evolutiva o, comunque, costituzionalmente adeguata della norma stessa) di estendere la legittimazione alla costituzione di rappresentanze aziendali anche ai sindacati che abbiano attivamente partecipato alle trattative per la stipula di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, ancorché non li abbiano poi sottoscritti (per ritenuta loro non idoneità a soddisfare gli interessi dei lavoratori).
E, in tal senso, il “verso” della addictio richiesta – e che, in relazione ai parametri evocati, si prospetta come obbligata – si sottrae, evidentemente, anche alla eccezione di non sufficientemente circostanziata sua indicazione.
L’inammissibilità non può essere, infine, riferita neppure alle sole ordinanze dei Tribunali di Vercelli e di Torino. Le quali, lungi dall’essere motivate solo per relationem alla precedente ordinanza del Tribunale di Modena, nel condividerne il petitum, richiamano puntualmente, e sviluppano anche ulteriormente, le argomentazioni che lo sorreggono.
6.– Nel merito, le questioni sono fondate.
6.1.– L’articolo 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori è stato ripetutamente sottoposto all’esame di questa Corte.
Le prime pronunce hanno riguardato la versione originaria di detto articolo, anteriore al referendum del 1995, ossia quella per la quale «Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva, nell’ambito: a) delle associazioni aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale; b) delle associazioni sindacali, non affiliate alle predette confederazioni, che siano firmatarie di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva».
I dubbi di legittimità costituzionale investivano, in quel contesto, la mancata attribuzione ad ogni associazione sindacale esistente nel luogo di lavoro della possibilità di costituire rappresentanze sindacali aziendali.
Nell’affermare la razionalità del disegno statutario, con i due livelli di protezione accordata alle organizzazioni sindacali (libertà di associazione, da un lato, e selezione dei soggetti collettivi fondata sul principio della loro effettiva rappresentatività, dall’altro), la Corte si è soffermata anche sul criterio della “maggiore rappresentatività”, che pur conducendo a privilegiare le confederazioni “storiche”, non precludeva rappresentanze aziendali nell’ambito delle associazioni sindacali non affiliate alle confederazioni maggiormente rappresentative, purché si dimostrassero capaci di esprimere, attraverso la firma di contratti collettivi nazionali o provinciali di lavoro applicati nell’unità produttiva, un grado di rappresentatività idoneo a tradursi in effettivo potere contrattuale a livello extra-aziendale (sentenze n. 334 del 1988 e n. 54 del 1974).
6.2.– A partire dalla seconda metà degli anni ottanta si è sviluppato, però, un dibattito critico in vista di una esigenza di revisione del meccanismo selettivo della “maggiore rappresentatività” previsto ai fini della costituzione delle rappresentanze nei luoghi di lavoro.
Ed è stata proprio questa Corte a segnalare, con un monito al legislatore, l’ormai ineludibile esigenza di elaborare nuove regole che conducessero a un ampliamento della cerchia dei soggetti chiamati ad avere accesso al sostegno privilegiato offerto dal Titolo III dello Statuto dei lavoratori, oltre ai sindacati maggiormente rappresentativi (sentenza n. 30 del 1990).
L’invito al legislatore è stato ribadito nella sentenza n. 1 del 1994, che ha dato ingresso ai due quesiti referendari che in quell’occasione la Corte era chiamata ad esaminare: il primo, “massimalista”, volto ad ottenere «l’abrogazione di tutti i criteri di maggiore rappresentatività adottati dall’art. 19, nelle lettere a e b», e il secondo, “minimalista”, mirante all’abrogazione dell’indice presuntivo di rappresentatività previsto dalla lettera a) e all’abbassamento al livello aziendale della soglia minima di verifica della rappresentatività effettiva prevista dalla lettera b).
In quella decisione, nella consapevolezza dei profili di criticità che avrebbero potuto annidarsi nel testo risultante dall’eventuale conformazione referendaria, nuovamente, questa Corte sottolineò che, comunque «il legislatore potrà intervenire dettando una disciplina sostanzialmente diversa da quella abrogata, improntata a modelli di rappresentatività sindacale compatibili con le norme costituzionali e in pari tempo consoni alle trasformazioni sopravvenute nel sistema produttivo e alle nuove spinte aggregative degli interessi collettivi dei lavoratori».
6.3.– Come è noto, in occasione del referendum indetto con decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1995 e tenutosi l’11 giugno 1995, ottenne il quorum solo “il quesito minimalista”, dando luogo all’attuale art. 19, che attribuisce il potere di costituire rappresentanze aziendali alle sole associazioni sindacali firmatarie di contratti collettivi applicati nell’unità produttiva di qualunque livello essi siano, dunque anche di livello aziendale.
Nel commentare la normativa “di risulta”, non si mancò di sottolineare come questa – pur coerente con la ratio referendaria di allargare il più possibile le maglie dell’agere sindacale anche a soggetti nuovi che fossero realmente presenti ed attivi nel panorama sindacale – rischiasse, però, nella sua accezione letterale, di prestare il fianco ad una applicazione sbilanciata: per un verso, in eccesso, ove l’espressione «associazioni firmatarie» fosse intesa nel senso della sufficienza di una sottoscrizione, anche meramente adesiva, del contratto a fondare la titolarità dei diritti sindacali in azienda (con virtuale apertura a sindacati di comodo); e, per altro verso, in difetto, ove interpretata, quella espressione, come ostativa al riconoscimento dei diritti in questione nei confronti delle associazioni che, pur connotate da una azione sindacale sorretta da ampio consenso dei lavoratori, avessero ritenuto di non sottoscrivere il contratto applicato in azienda. E ciò con il risultato, nell’un caso e nell’altro, di una alterazione assiologica e funzionale della norma stessa, quanto al profilo del collegamento, non certamente rescisso dall’intervento referendario, tra titolarità dei diritti sindacali ed effettiva rappresentatività del soggetto che ne pretende l’attribuzione.
6.4.– Le pronunzie di questa Corte, nel quinquennio successivo al referendum – sentenza n. 244 del 1996, ordinanze n. 345 del 1996, n. 148 del 1997 e n. 76 del 1998 – hanno fornito indicazioni, per quanto in concreto sottoposto al suo esame, solo con riguardo al primo dei due sottolineati punti critici.
E, per questo aspetto, l’art. 19, «pur nella versione risultante dalla prova referendaria», ha superato il vaglio di costituzionalità sulla base di una esegesi costituzionalmente orientata, che ha condotto ad una sentenza interpretativa di rigetto. In virtù della quale, dalla premessa che «la rappresentatività del sindacato non deriva da un riconoscimento del datore di lavoro espresso in forma pattizia», bensì dalla «capacità del sindacato di imporsi al datore di lavoro come controparte contrattuale», la Corte ha inferito che «Non è perciò sufficiente la mera adesione formale a un contratto negoziato da altri sindacati, ma occorre una partecipazione attiva al processo di formazione del contratto», e che «nemmeno è sufficiente la stipulazione di un contratto qualsiasi, ma deve trattarsi di un contratto normativo che regoli in modo organico i rapporti di lavoro, almeno per un settore o un istituto importante della loro disciplina, anche in via integrativa, a livello aziendale di un contratto nazionale o provinciale già applicato nella stessa unità produttiva» (sentenza n. 244 del 1996).
In questi termini, la Corte ha ritenuto che l’indice selettivo di cui alla lettera b), del primo comma, dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori «si giustifica, in linea storico-sociologica e quindi di razionalità pratica, per la corrispondenza di tale criterio allo strumento di misurazione della forza di un sindacato, e, di riflesso, della sua rappresentatività, tipicamente proprio dell’ordinamento sindacale».
6.5.– Nell’attuale mutato scenario delle relazioni sindacali e delle strategie imprenditoriali, quale diffusamente descritto ed analizzato dai giudici a quibus, l’altro (speculare) profilo di contraddizione (per sbilanciamento in difetto) – teoricamente, per quanto detto, già presente nel sistema della lettera b) del primo comma, dell’art. 19, ma di fatto sin qui oscurato dalla esperienza pratica di una perdurante presenza in azienda dei sindacati confederali – viene invece ora compiutamente ad emersione. E si riflette nella concretezza di fattispecie in cui, come denunciato dai rimettenti, dalla mancata sottoscrizione del contratto collettivo è derivata la negazione di una rappresentatività che esiste, invece, nei fatti e nel consenso dei lavoratori addetti all’unità produttiva.
In questa nuova prospettiva si richiede, appunto, una rilettura dell’art. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, che ne riallinei il contenuto precettivo alla ratio che lo sottende.
6.6.– L’aporia indotta dalla esclusione dal godimento dei diritti in azienda del sindacato non firmatario di alcun contratto collettivo, ma dotato dell’effettivo consenso da parte dei lavoratori, che ne permette e al tempo stesso rende non eludibile l’accesso alle trattative, era già stata del resto rilevata; e dalle riflessioni svolte in proposito era scaturita anche la sollecitazione ad una interpretazione adeguatrice della norma in questione, alla stregua della quale, superandosi lo scoglio del suo tenore letterale, che fa espresso riferimento ai sindacati “firmatari”, si ritenesse condizione necessaria e sufficiente, per soddisfare il requisito previsto dall’art. 19, quella di aver effettivamente partecipato alle trattative, indipendentemente dalla sottoscrizione del contratto. Interpretazione di cui si è sostenuta la coerenza con la richiamata giurisprudenza costituzionale in materia di irrilevanza, ai fini dell’art. 19, primo comma, lettera b), dello Statuto dei lavoratori, della mera sottoscrizione del contratto collettivo non preceduta dalla effettiva partecipazione alle trattative.
I Tribunali rimettenti, a differenza di quanto ritenuto da altri giudici di merito, hanno escluso, però, la possibilità della richiamata interpretazione adeguatrice, reputata incompatibile con il testo dell’art. 19, e perciò hanno sollevato le questioni di legittimità costituzionale all’odierno esame, al fine di conseguire, attraverso una pronuncia additiva, quel medesimo risultato di estensione della titolarità dei diritti sindacali, sulla base della nozione di “effettività dell’azione sindacale”, alle organizzazioni che abbiano partecipato alle trattative, ancorché non firmatarie del contratto.
7.– La Corte giudica corretta questa opzione ermeneutica, risultando effettivamente univoco e non suscettibile di una diversa lettura l’art. 19, tale, dunque, da non consentire l’applicazione di criteri estranei alla sua formulazione letterale.
Ma alla luce di una siffatta testuale interpretazione la disposizione in oggetto non sfugge alle censure sollevate dai rimettenti.
Infatti, nel momento in cui viene meno alla sua funzione di selezione dei soggetti in ragione della loro rappresentatività e, per una sorta di eterogenesi dei fini, si trasforma invece in meccanismo di esclusione di un soggetto maggiormente rappresentativo a livello aziendale o comunque significativamente rappresentativo, sì da non potersene giustificare la stessa esclusione dalle trattative, il criterio della sottoscrizione dell’accordo applicato in azienda viene inevitabilmente in collisione con i precetti di cui agli artt. 2, 3 e 39 Cost.
Risulta, in primo luogo, violato l’art. 3 Cost., sotto il duplice profilo della irragionevolezza intrinseca di quel criterio, e della disparità di trattamento che è suscettibile di ingenerare tra sindacati. Questi ultimi infatti nell’esercizio della loro funzione di autotutela dell’interesse collettivo – che, in quanto tale, reclama la garanzia di cui all’art. 2 Cost. – sarebbero privilegiati o discriminati sulla base non già del rapporto con i lavoratori, che rimanda al dato oggettivo (e valoriale) della loro rappresentatività e, quindi, giustifica la stessa partecipazione alla trattativa, bensì del rapporto con l’azienda, per il rilievo condizionante attribuito al dato contingente di avere prestato il proprio consenso alla conclusione di un contratto con la stessa.
E se, come appena dimostrato, il modello disegnato dall’art. 19, che prevede la stipulazione del contratto collettivo quale unica premessa per il conseguimento dei diritti sindacali, condiziona il beneficio esclusivamente ad un atteggiamento consonante con l’impresa, o quanto meno presupponente il suo assenso alla fruizione della partecipazione sindacale, risulta evidente anche il vulnus all’art. 39, primo e quarto comma, Cost., per il contrasto che, sul piano negoziale, ne deriva ai valori del pluralismo e della libertà di azione della organizzazione sindacale.
La quale, se trova, a monte, in ragione di una sua acquisita rappresentatività, la tutela dell’art. 28 dello Statuto nell’ipotesi di un eventuale, non giustificato, suo negato accesso al tavolo delle trattative, si scontra poi, a valle, con l’effetto legale di estromissione dalle prerogative sindacali che la disposizione denunciata automaticamente collega alla sua decisione di non sottoscrivere il contratto. Ciò che si traduce, per un verso, in una forma impropria di sanzione del dissenso, che innegabilmente incide, condizionandola, sulla libertà del sindacato in ordine alla scelta delle forme di tutela ritenute più appropriate per i suoi rappresentati; mentre, per l’altro verso, sconta il rischio di raggiungere un punto di equilibrio attraverso un illegittimo accordo ad excludendum.
8.– Va, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 19, primo comma, lettera b), della legge n. 300 del 1970, nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda.
9.– L’intervento additivo così operato dalla Corte, in coerenza con il petitum dei giudici a quibus e nei limiti di rilevanza della questione sollevata, non affronta il più generale problema della mancata attuazione complessiva dell’art. 39 Cost., né individua – e non potrebbe farlo – un criterio selettivo della rappresentatività sindacale ai fini del riconoscimento della tutela privilegiata di cui al Titolo III dello Statuto dei lavoratori in azienda nel caso di mancanza di un contratto collettivo applicato nell’unità produttiva per carenza di attività negoziale ovvero per impossibilità di pervenire ad un accordo aziendale.
Ad una tale evenienza può astrattamente darsi risposta attraverso una molteplicità di soluzioni. Queste potrebbero consistere, tra l’altro, nella valorizzazione dell’indice di rappresentatività costituito dal numero degli iscritti, o ancora nella introduzione di un obbligo a trattare con le organizzazioni sindacali che superino una determinata soglia di sbarramento, o nell’attribuzione al requisito previsto dall’art. 19 dello Statuto dei lavoratori del carattere di rinvio generale al sistema contrattuale e non al singolo contratto collettivo applicato nell’unità produttiva vigente, oppure al riconoscimento del diritto di ciascun lavoratore ad eleggere rappresentanze sindacali nei luoghi di lavoro. Compete al legislatore l’opzione tra queste od altre soluzioni.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 19, primo comma, lettera b), della legge 20 maggio 1970, n. 300 (Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento), nella parte in cui non prevede che la rappresentanza sindacale aziendale possa essere costituita anche nell’ambito di associazioni sindacali che, pur non firmatarie dei contratti collettivi applicati nell’unità produttiva, abbiano comunque partecipato alla negoziazione relativa agli stessi contratti quali rappresentanti dei lavoratori dell’azienda.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 3 luglio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Mario Rosario MORELLI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 luglio 2013.
Il Direttore della Cancelleria
F.to: Gabriella MELATTI
Allegato:
Ordinanza Letta All’udienza Del 2 Luglio 2013
ORDINANZA
Visti gli atti relativi ai giudizi di legittimità costituzionale introdotti con ordinanza del Tribunale di Modena depositata il 4 giugno 2012 (n. 202 del Registro ordinanze 2012);
visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale introdotto con ordinanza del Tribunale di Vercelli depositata il 25 settembre 2012 (n. 287 del Registro ordinanze 2012);
visti gli atti relativi al giudizio di legittimità costituzionale introdotto con ordinanza del Tribunale di Torino depositata il 12 dicembre 2012 (n. 46 del Registro ordinanze 2013);
rilevato che nel primo dei detti giudizi di legittimità costituzionale (n. 202 del Registro ordinanze 2012) sono intervenuti la Cgil – Confederazione Generale Italiana del Lavoro, la Filcams/Cgil – Federazione Italiana Lavoratori Commercio, Alberghi, Mense e Servizi e la Filcams/Cgil – Federazione Italiana Lavoratori Commercio, Alberghi, Mense e Servizi di Milano e Provincia;
che nel secondo dei detti giudizi di legittimità costituzionale (n. 287 del Registro ordinanze 2012) è intervenuta la Federazione Nazionale della Stampa Italiana – FNSI;
che nel terzo dei detti giudizi di legittimità costituzionale (n. 46 del Registro ordinanze 2013) è intervenuta l’Unione Industriale della Provincia di Torino;
che i soggetti sopra indicati non sono stati parti nei giudizi a quibus;
che la costante giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, cfr. le ordinanze allegate alle sentenze n. 272 del 2012, n. 349 del 2007, n. 279 del 2006 e n. 291 del 2001) è nel senso che la partecipazione al giudizio di legittimità costituzionale è circoscritta, di norma, alle parti del giudizio a quo, oltre che al Presidente del Consiglio dei ministri e, nel caso di legge regionale, al Presidente della Giunta regionale (artt. 3 e 4 delle Norme integrative per i giudizi dinanzi alla Corte costituzionale);
che a tale disciplina è possibile derogare – senza venire in contrasto con il carattere incidentale del giudizio di costituzionalità – soltanto a favore di soggetti terzi che siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio e non semplicemente regolato, al pari di ogni altro, dalla norma o dalle norme oggetto di censura;
che, pertanto, l’incidenza sulla posizione soggettiva dell’interveniente non deve derivare, come per tutte le altre situazioni sostanziali governate dalla legge denunciata, dalla pronuncia della Corte sulla legittimità costituzionale della legge stessa, ma dall’immediato effetto che la pronuncia della Corte produce sul rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo;
che, nei giudizi da cui traggono origine le questioni di legittimità costituzionale in discussione, nessuna delle parti intervenute riveste l’anzidetta posizione di terzo legittimata a partecipare al giudizio dinanzi a questa Corte;
che, infatti, la Filcams sarebbe investita soltanto da effetti riflessi della pronuncia di questa Corte sull’art. 19 della legge n. 300 del 1970 nei giudizi a quibus, quali potrebbero beneficiarne tutti i soggetti sindacali in posizione analoga a quella dell’organismo che ha promosso il giudizio incidentale;
che, quanto agli interventi della Cgil e della FNSI, si tratta di soggetti sindacali che non solo mancano di qualsiasi collegamento con il rapporto sostanziale oggetto del giudizio a quo, ma che, in ragione della loro configurazione strutturale, non sono neppure diretti destinatari dell’applicazione dell’art. 19 denunciato;
che analogamente è da ritenersi con riguardo all’intervento della Unione Industriale della Provincia di Torino, la quale è portatrice di un interesse addirittura ulteriormente mediato, giacché non attinente a quello della parte sindacale beneficiaria degli effetti della rappresentanza sindacale aziendale, derivanti dall’applicazione dell’art. 19 denunciato, ma riguardante la parte sindacale datoriale;
che, pertanto, gli interventi spiegati dagli anzidetti soggetti nei giudizi di legittimità costituzionale sopra indicati devono essere dichiarati inammissibili.
Per Questi Motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara inammissibili gli interventi spiegati dai soggetti indicati in motivazione nei giudizi di legittimità costituzionale di cui ai nn. 202 e 287 del Registro ordinanze 2012 ed al n. 46 del Registro ordinanze 2013.
F.to: Franco GALLO, Presidente
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