Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Prove tecniche di democrazia europea. Turchia, la protesta continua e anche la repressione

Postato il 4 Luglio 2013 | in Mondo, Scenari Politico-Sociali | da

Riceviamo e pubblichiamo in anteprima l’ultimo articolo sulle proteste turche che sarà pubblicato sull’ultimo numero del settimanle anarchico Umanità Nova

Prove tecniche di democrazia europea

Turchia, la protesta continua e anche la repressione

Dopo oltre un mese dall’inizio delle proteste ad Istanbul, nuovi fuochi di rivolta continuano ad accendersi in tutta la Turchia. Il movimento di lotta ha saputo resistere alla repressione, ed è riuscito a portare avanti la protesta dopo lo sgombero definitivo di Gezi Park da parte della polizia, dando vita a decine e decine di assemblee. Le manifestazioni continuano ed il governo prosegue sulla sulla linea del pugno di ferro contro le proteste, colpendo in particolar modo i rivoluzionari con una vera e propria caccia alle streghe. Intanto in Kurdistan si riaccende la tensione. Il governo turco organizza provocazioni per bloccare i processi di pace, ma questo sembra solo rafforzare la solidarietà perché le manifestazioni dei movimenti curdi si affiancano alla lotta nata da Gezi Park. L’unica cosa certa adesso è che non si potrà tornare indietro.

La rivolta continua

Dopo lo sgombero di Gezi Park e Piazza Taksim il 15 giugno scorso i media italiani hanno calato il sipario sulle lotte in Turchia. Comodo far credere che ogni resistenza è impotente e fallimentare di fronte alla repressione brutale dello Stato. In realtà la resistenza è tutt’altro che sopita.

Dopo una prima intensa settimana di nuove manifestazioni per denunciare la violenza della polizia e per tornare ad occupare Piazza Taksim, che ha visto anche un partecipato sciopero del settore pubblico, il movimento ha iniziato a svilupparsi in senso assembleare. La solidarietà, l’autogestione e la pratica assembleare sperimentate nelle giornate di occupazione di Gezi Park e in altri luoghi della protesta sono state applicate per dare continuità al movimento. Ora sono attive circa 82 assemblee in 11 città. Si tratta di spazi aperti di dibattito e di iniziativa che si riuniscono nei parchi urbani e che hanno permesso al movimento di non perdere l’eterogeneità e la partecipazione popolare. In questo modo il movimento ha mantenuto la sua forza ed ha continuato a scendere in piazza impiegando diverse forme di protesta.

Dalla protesta simbolica degli “uomini in piedi” ai cortei, ogni manifestazione di dissenso ha incontrato la repressione della polizia. Particolarmente significative sono state le manifestazioni di martedì 25 giugno, quando migliaia di persone sono tornate in piazza ad Istanbul contro la scarcerazione del poliziotto che ad Ankara, durante le proteste, aveva sparato al lavoratore Ethem Sarısülük, uccidendolo. Con lo slogan “Sono Ethem Sarısülük, non avevo armi né bombe lacrimogene, la polizia mi ha ucciso sparandomi alla testa, oggi la polizia ha rilasciato il mio assassino” si sono tenute, nonostante la repressione, 15 manifestazioni in 10 città. Proteste contro gli arresti e contro la violenza della polizia si sono tenute anche sabato 29 giugno ad Istanbul ed in altre città. Una folla di migliaia di persone è tornata a riempire Piazza Taksim, dove oltre 10 manifestanti sono stati arrestati da agenti in borghese al termine della protesta. Ad Ankara invece, nella stessa giornata, un primo assembramento di qualche centinaio di persone nella zona universitaria è stato subito attaccato dalla polizia con lacrimogeni ed idranti con acqua urticante, nel tentativo di impedire una manifestazione per Ethem Sarısülük.

Gli anarchici continuano ad essere attivi nel movimento. Oltre ad aver partecipato sin dai primi giorni alla resistenza nelle strade e ad aver difeso i manifestanti negli scontri, gli anarchici prendono parte attivamente al movimento assembleare portando avanti pratiche libertarie ed autogestionarie, cercando di allargare la base del movimento a tutti gli oppressi e gli sfruttati.

“Lice Resiste, Gezi Park resiste”

Questo era uno degli slogan durante la protesta di sabato 29 giugno ad Istanbul contro l’assassinio da parte della gendarmeria turca di un manifestante a Lice in Kurdistan. In piazza, oltre ai lavoratori del settore pubblico, anche esponenti del partito curdo BDP (Partito per la Pace e la Democrazia, legale e presente in parlamento). Il 28 giugno infatti a Lice le forze di sicurezza turche hanno aperto il fuoco su un gruppo di manifestanti che protestavano contro la costruzione dell’ennesimo avamposto militare nella zona, uccidendo il diciottenne Medeni Yıldırım e provocando numerosi feriti, di cui molti gravi. In seguito a questi fatti migliaia di persone sono scese in piazza in tutta la Turchia, ci sono stati scontri durante i funerali del manifestante ucciso, ed una nuova ondata di proteste è partita dal Kurdistan, affiancandosi al movimento di lotta nato da Gezi Park. Infatti quando sabato 29 giugno migliaia di manifestanti sono tornati a riempire Piazza Taksim per denunciare ancora una volta la brutalità usata dal governo nel reprimere le proteste del movimento di Gezi, in molti hanno solidarizzato con le proteste in Kurdistan gridando “Lice resiste, Gezi Resiste” e “Vogliamo pace, non avamposti”.

Per la prima volta in Turchia si superano le divisioni tra curdi e turchi, questo avviene in piazza, per manifestare solidarietà, contro il terrorismo di stato e contro ogni fascismo.

In molti finora avevano segnalato, tra i limiti del movimento di lotta delle ultime settimane, l’assenza dell’elemento curdo dalle proteste. In effetti per settimane la rivolta nata in Piazza Taksim e diffusasi in tutto il paese, ha avuto scarsa eco nelle regioni curde, che non sono state di fatto investite dalle proteste. Certo, il BDP è stato presente fin da subito in piazza ad Istanbul, sostenendo le proteste, ed il PKK (Partito dei Lavoratori del Kurdistan, lo storico partito della guerriglia indipendentista curda) ha dichiarato di sostenere la resistenza di Gezi Park, ma il Kurdistan è rimasto a lungo quasi del tutto estraneo alle proteste. Alcuni hanno spiegato questa assenza con la necessità da parte del PKK di mantenere aperto il dialogo con il governo di Erdoğan per proseguire la trattativa riguardante il processo di pace che dovrebbe portare alla minoranza curda diritti e autonomia. Ma tralasciamo la specifica questione curda, molto complessa, che si intreccia con le trattative di pace, la questione dell’autonomia, la guerra in Siria e più in generale la situazione in medio oriente. È invece da sottolineare l’alta disoccupazione e le forti disuguaglianze sociali che gravano sulla popolazione curda, la forte militarizzazione della regione, la repressione di ogni manifestazione, l’oppressione statale che diventa terrorismo con stragi, bombardamenti, uccisioni di manifestanti e assassinii politici. È chiaro che in questo contesto la pace a cui adesso aspira la popolazione curda può passare solo dalla via della libertà e dell’emancipazione. Il governo turco vuole invece imporre la pace aumentando il controllo militare del territorio. Per questo motivo “Vogliamo la pace, non avamposti” riassume il senso delle proteste che si sono accese in Kurdistan alla fine di giugno. Dalla sanguinosa repressione della protesta di Lice contro la costruzione di un nuovo edificio militare della gendarmeria turca sono nate proteste che si legano con il movimento di Gezi Park e che hanno portato il BDP a lanciare una grande mobilitazione estiva per i diritti.

Hüseyin Çelik, portavoce dell’AKP (il partito del premier turco Erdoğan) ha dichiarato che “gli scontri di Lice sono la versione curda di Gezi Park”. Con queste parole intendeva affermare che entrambi erano manovrati da un grande complotto contro la Turchia, ma dalle sue parole è chiaro il timore che ci possa essere una vera e propria saldatura tra le diverse lotte sul comune terreno dell’opposizione al terrorismo di stato e all’autoritarismo del governo.

Questo timore da parte del governo appare ancora più fondato se consideriamo alcuni elementi.

C’è innanzitutto da ricordare che ad Istanbul e nelle più grandi città della Turchia la presenza di curdi è molto consistente, anche a causa della migrazione interna dalle zone rurali verso i grandi centri urbani avvenuta nei decenni scorsi ed aumentata negli ultimi anni. Questi hanno preso parte alle proteste nate da Gezi Park assieme a tutte le altre varie componenti del movimento.

Sarebbe poi da approfondire la “svolta” fatta dal PKK negli ultimi anni. Infatti l’attuale processo di pace e il ritiro dei combattenti dal suolo turco, così come la possibilità di abbandonare completamente le armi, arriverebbero dopo un riposizionamento ideologico del partito guidato da Abdullah Öcalan. Questo sarebbe infatti passato dal marxismo-leninismo indipendentista ad una linea eclettica definita dal PKK “Democratic-Ecological-Gender Liberationist Society” finalizzata alla costruzione di una confederazione di comunità autonome. Sembra che questo mutamento sia originato da studi e letture fatte da Öcalan nella prigionia del carcere turco di İmralı dove è recluso dal 2002. Il fatto che tra queste letture fossero presenti anche testi di Bookchin, Kropotkin e di altri autori anarchici, ha dato modo ad alcuni di parlare di svolta libertaria del PKK. In realtà pare difficile parlare di pensiero libertario vista la struttura comunque autoritaria del PKK e una più generale prospettiva politica che non sembra voler uscire dai termini della democrazia, che, comunque intesa, propone il dominio di una maggioranza su una minoranza. Degno di attenzione è invece il superamento del concetto di “stato nazionale” con l’abbandono del vecchio indipendentismo. Una liberazione che non prevede la creazione di un nuovo stato e di nuove frontiere è il fattore che scardina la base del conflitto etnico tra curdi e turchi, e che può portare la questione curda sul piano della liberazione sociale. Questa elaborazione da parte del PKK viene probabilmente dalla necessità di stare al passo con le esigenze già mature in una popolazione oppressa e sfruttata che non vuole più la guerra, ma pace, libertà e giustizia.

L’alta migrazione interna in Turchia, pure ai tempi dei social network, fa ovviamente circolare anche le idee. È anche così che si materializza la solidarietà tra le lotte delle grandi città e le lotte in Kurdistan. È così che molti giovani curdi e non guardano con simpatia al movimento anarchico. È così che da Gezi Park al Kurdistan la lotta contro il terrorismo di Stato diventa la stessa.

Questo per la Turchia è un periodo cruciale anche a livello istituzionale, è in discussione una riforma costituzionale che potrebbe cambiare il volto del paese. La posta in gioco è alta ed Erdoğan vuole a tutti i costi essere il fautore della nuova Turchia, un nuovo “padre dei turchi”. Anche per questo sono ancora più pericolose per i movimenti di lotta le strumentalizzazioni dei partiti che vogliono conquistarsi una fetta della torta o anche solo qualche briciola. Da questo punto di vista i tentativi di strumentalizzazione da parte dell’opposizione kemalista e nazionalista possono essere messi in seria difficoltà da una saldatura tra le lotte dei curdi e il movimento nato da Gezi Park.

Vedremo nelle prossime settimane se, dopo la solidarietà, queste lotte riusciranno davvero a saldarsi, se al di là delle linee di partito riuscirà a prevalere la solidarietà tra gli sfruttati.

Dario Antonelli

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