October 7, 2024
Un interessante articolo di Alceste Santuari tratto da:
Quando una società pubblica è configurabile quale società in house, si radica la competenza della Corte dei conti. Potrebbe essere così sintetizzata la posizione espressa dalla Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 25 novembre 2013, n. 26283.
La pronuncia muove dalla richiesta della magistratura contabile di rivedere il giudizio espresso dalla sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti che, con sentenza depositata l’11 ottobre 2012, aveva ritenuto che l’azione per risarcimento dei danni da mala gestio nei confronti degli organi di una società di diritto privato, ancorché partecipata da soci pubblici, rientrasse nella sfera giurisdizionale del giudice ordinario, riformulando la decisione del giudice di primo grado e dichiarando il difetto di giurisdizione del giudice contabile. Per la cassazione della sentenza sopra citata, ha proposto ricorso il Procuratore generale presso la Corte dei conti che ha sostenuto la sussistenza della giurisdizione del giudice contabile.
La Suprema Corte, preliminarmente, si chiede se la società in oggetto debba essere considerata quale società in house, qualificazione giuridica dalla quale fa dipendere conseguentemente la qualificazione del danno provocato dalla mala gestio degli amministratori.
Quando una società è in house? I giudici richiamano i noti parametri consolidatisi sia a livello Ue sia a livello nazionale (si veda per tutti la sentenza del Consiglio di Stato, Ad. Plen., 3 marzo 2008, n. 1 e conforme giurisprudenza amministrativa successiva), che di seguito sintetizziamo:
Qualificata la società alla stregua di una società in house, la Corte di Cassazione evidenzia che:
Quindi, sembra di poter inferire da quanto sopra descritto, che il discrimen per valutare la sussistenza della giurisdizione della magistratura contabile sia proprio il particolare status giuridico delle società in house, non tanto quali società che assumono la veste di diritto privato, quanto in ragione del loro “collegamento” con la P.A.
Ed è infatti avuto riguardo al legame intercorrente tra P.A. (dominus) e società (in house) che è possibile reperire la motivazione principale sulla base della quale la Suprema Corte ha riconosciuto la competenza della corte dei conti nel caso di specie. L’azione del procuratore contabile deve essere volta a far valere la “responsabilità dell’amministratore o del componente di organi di controllo della società partecipata dall’ente pubblico che sia stato danneggiato dall’azione illegittima non di riflesso, quale conseguenza indiretta del pregiudizio arrecato al patrimonio sociale, bensì direttamente”. Siamo, in questo caso, in presenza di un danno erariale, ossia di un danno provocato dall’agente al patrimonio dell’ente pubblico. In quali casi? Nel caso di un rappresentante dell’ente partecipante o comunque titolare di esercitare i propri diritti di socio, che con la propria (in)azione, o omissione di azione di responsabilità o assenza di controllo adeguato abbia pregiudicato il valore della partecipazione (pubblica) nella società in house.
La società in house è considerata dai giudici di cassazione una anomalia del panorama societario, intendendo per anomalia il fatto che tale società agisce in “totale assenza di un potere decisionale suo proprio, in conseguenza del totale assoggettamento dei suoi organi al potere gerarchico dell’ente pubblico titolare della partecipazione sociale”. Circostanza, questa, che fa ritenere alla Corte di Cassazione che la società in house “non è altro che una longa manus della pubblica amministrazione, al punto che l’affidamento pubblico mediante in house contract neppure consente veramente di configurare un rapporto contrattuale intersoggettivo”. Il vincolo che lega la società in house al comune / P.A. di riferimento è tale che la Suprema Corte giunge ad affermare che il “velo che normalmente nasconde il socio dietro la società è dunque squarciato: la distinzione tra socio (pubblico) e società (in house) non si realizza più in termini di alterità soggettiva”.
Il citato “lifting the veil” mutuando l’espressione di common law atta ad identificare proprio la ricerca del “vero” attore dietro lo schermo societario aiuta a comprendere perché la Corte distingua nettamente tra “rapporto interorganico” tra società in house e P.A. e la funzione di direzione e coordinamento che si attua nei gruppi societari. Mentre in questi ultimi, le società controllate mantengono autonomia giuridica e rimangono entità giuridiche e centro di interesse distinti l’una dalle altre, alla società in house, invece, non è lasciata un’area di autonomia sua propria, in quanto la stessa – sostiene la Suprema Corte – non può essere considerata un “centro d’interesse davvero distinto rispetto all’ente pubblico che la ha costituita e per il quale essa opera”.
Sotto il profilo della responsabilità, dunque, da quanto sopra espresso consegue che gli organi delle società in house sono da considerare appartenenti “ad una struttura corrispondente ad un’articolazione interna alla stessa pubblica amministrazione” e, di conseguenza, legati a quest’ultima “da un vero e proprio rapporto di servizio”. Sono questi i presupposti amministrativo-gestionali che hanno fatto ritenere alla Corte di Cassazione nella sentenza in commento che “il danno eventualmente inferto al patrimonio della società da atti illegittimi degli amministratori, cui possa aver contribuito un colpevole difetto di vigilanza imputabile agli organi di controllo, è arrecato ad un patrimonio (separato, ma pur sempre) riconducibile all’ente pubblico”. Di qui la configurazione di tale danno come danno erariale, “che giustifica l’attribuzione alla Corte dei conti della giurisdizione sulla relativa azione di responsabilità”.
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