Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Sul tempo di cambio tuta\divisa

Postato il 24 Marzo 2014 | in Sicurezza sul lavoro | da

Sul “tempo tuta”, cioè sul tempo necessario al lavoratore per indossare gli abiti da lavoro e in particolare i DPI esiste numerosa giurisprudenza in merito.

Tutta la giurisprudenza è d’accordo nel ritenere che, se tale tempo è propedeutico al lavoro da svolgere, esso deve essere di fatto considerato come orario di lavoro e pertanto deve essere retribuito.

Riporto a tale proposito in allegato un ulteriore recentissima sentenza della Cassazione (la n.2837 del 7 febbraio 2014), dalla quale riportiamo alcuni passaggi.

“La giurisprudenza di questa Corte ha più volte affermato, in relazione alla regola fissata dal R.D.L. 5 marzo 1923, n.692, articolo 3 (secondo cui è considerato lavoro effettivo ogni lavoro che richieda un’occupazione assidua e continuativa) il principio secondo cui tale disposizione non preclude che il tempo impiegato per indossare la divisa sia da considerarsi lavoro effettivo, e debba essere pertanto retribuito, ove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione, ovvero si tratti di operazioni di carattere strettamente necessario ed obbligatorio per lo svolgimento dell’attività lavorativa”.

“La stessa giurisprudenza comunitaria afferma che, per valutare se un certo periodo di servizio rientri o meno nella nozione di orario di lavoro, occorre stabilire se il lavoratore sia o meno obbligato ad essere fisicamente presente sul luogo di lavoro e ad essere a disposizione di quest’ultimo per poter fornire immediatamente la propria opera”.

“Tale orientamento (come osserva la citata Cassazione n. 9358/2010) consente di distinguere nel rapporto di lavoro una fase finale, che soddisfa direttamente l’interesse del datore di lavoro, ed una fase preparatoria, relativa a prestazioni od attività accessorie e strumentali, da eseguire nell’ambito della disciplina d’impresa (articolo 2104, comma 2 Codice Civile) ed autonomamente esigibili dal datore di lavoro, il quale ad esempio può rifiutare la prestazione finale in difetto di quella preparatoria. Di conseguenza al tempo impiegato dal lavoratore per indossare gli abiti da lavoro (tempo estraneo a quello destinato alla prestazione lavorativa finale) deve corrispondere una retribuzione aggiuntiva”.

Da tale sentenza emerge anche il principio secondo il quale è il datore di lavoro che può stabilire dove debba avvenire la vestizione con indumenti da lavoro (“ove tale operazione sia diretta dal datore di lavoro, il quale ne disciplina il tempo ed il luogo di esecuzione”).

A maggiore ragione tali concetti sono confermati anche dalla vigente normativa di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori (D.Lgs.81/08), qualora la “tuta” sia anche un Dispositivo di Protezione Individuale”, definito dall’articolo 74, comma 1 del Decreto come “qualsiasi attrezzatura destinata ad essere indossata e tenuta dal lavoratore allo scopo di proteggerlo contro uno o più rischi suscettibili di minacciarne la sicurezza o la salute durante il lavoro”.

In tal caso il tempo necessario per indossare il DPI rientra tra le misure di tutela della salute e della sicurezza del lavoratore e, ai sensi dell’articolo 15, comma 2 del Decreto (“Le misure relative alla sicurezza, all’igiene ed alla salute durante il lavoro non devono in nessun caso comportare oneri finanziari per i lavoratori”) deve essere a totale onere del datore di lavoro.

In allegato la sentenza della Cassazione
http://www.cobasconfederazionepisa.it/wp-content/uploads/2014/03/Cassazione-Lavoro-n.2837-7-febbraio-2014.pdf

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