October 7, 2024
La Corte europea, con due provvedimenti, stabilisce l’obbligo di conversione dei contratti a termine in contratti a tempo indeterminato dopo 36 mesi di lavoro, anche non continuativi.
La Corte di Giustizia europea boccia la legislazione italiana sui contratti flessibili nella Pubblica amministrazione. I giudici di Lussemburgo hanno accolto i due ricorsi presentati da altrettanti lavoratori spianando di fatto la strada ad altri casi simili e obbligando lo Stato alla conversione dei contratti di lavoro da determinato a indeterminato dopo 36 mesi, anche non continuativi di servizio precario (in applicazione dell’art. 5, comma 4-bis, del dlgs 368/2001). I due provvedimenti, l’ordinanza “Papalia” (C-50/13) e la sentenza “Carratù” (C-361/12) sono stati emessi lo scorso 12 dicembre e possono essere applicati, per analogia, ai tanti casi simili che vedono coinvolti quasi 250mila lavoratori precari della Pubblica amministrazione (133mila nella scuola, 30mila nella sanità e più di 70mila fra Enti locali e Regioni).
In particolare, il caso Papalia vedeva coinvolto il maestro della banda municipale di Aosta che, per 30 anni, ha svolto servizio presso il Comune sempre con contratti a termine.
Il giudice del lavoro di Torino aveva condannato il Comune di Aosta a risarcire il maestro con 108 mila euro dichiarando illegittimi i contratti a tempo determinato stipulati dall’amministrazione, sentenza poi ribaltata in appello. Gli avvocati di Papalia avevano presentato ricorso alla Corte di Giustizia europea che ha dichiarato “l’illegittimità della legislazione italiana in materia di precariato pubblico, accertando che l’Italia e la normativa interna non riconoscono e non garantiscono ai lavoratori pubblici precari le tutele e le garanzie previste dal legislatore europeo”.
Nello specifico, sotto accusa è la norma italiana (art. 36, comma 5, D.Lgs. n.165/2001) che prevede la sola richiesta di risarcimento da parte del lavoratore con contratto a termine senza la possibilità di trasformazione del lavoro precario in lavoro stabile.
Nel caso Carratù, un lavoratore precario che aveva citato in giudizio Poste Italiane, la Corte di Giustizia ha dichiarato che l’accordo quadro sul lavoro a tempo determinato, inserito in allegato alla direttiva 1999/70/CE del Consiglio, del 28 giugno 1999 (in particolare la clausola 4,punto 1) può essere fatta valere direttamente nei confronti di un ente pubblico, quale Poste Italiane Spa, considerandola quindi come società pubblica e non come impresa privata. La Corte Europea ha quindi bocciato la sanzione introdotta dall’art.32, comma 5, della legge n. 183/2010 confermando la tesi del Tribunale di Napoli e stabilendo che allo Stato si applichi solo il decreto legislativo n.368 del 2001 e non le norme successive “abilmente” introdotte dal legislatore italiano.
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