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Intervista a Bahar su Utopyca mente. Libertà per i detenuti politici

Postato il 7 Gennaio 2014 | in Mondo, Scenari Politico-Sociali | da

94 KM QUADRATI DI LIBERTA’. Intervista a Bahar Kimyongür, l’attivista per la pace arrestato con l’accusa di terrorismo, con obbligo di dimora a Massa

Tratto da http://utopyca-mente.blogspot.it/2014/01/94-km-quadrati-di-liberta-intervista.html?spref=fb

Massa. 3.01.14. Novantaquattro chilometri quadrati, delimitati dal mare, una linea ferroviaria, un fiume e l’aeroporto municipale. È questo il perimetro entro cui può muoversi Bahar Kimyongür, l’attivista per la pace, giornalista e scrittore belga di origine turca (di cui ha la cittadinanza) arrestato a Bergamo il 21 novembre scorso con l’accusa di terrorismo, scarcerato poi il 2 dicembre e con l’obbligo adesso di dimora nel comune di Massa. Una vicenda, la sua, che sfiora l’assurdo, lunga dieci anni e racchiusa in un fascicolo di cinquanta pagine, tra articoli e processi, raccolti dal suo attuale avvocato difensore, Federico Romoli. Fogli che ricostruiscono la vicenda e che è stato lo stesso Bahar a mostrarmeli nel tre vani a due passi dal mare, ai Ronchi, che il compagno massese Gianfranco Castellotti gli ha trovato e in cui dovrà vivere fino a quando la procura di Brescia non deciderà il suo destino, pronunciandosi sulla richiesta di estradizione turca. Mi accoglie all’ingresso dell’abitazione con i suoi occhi azzurri e dietro di lui spuntano subito i due figli di cinque e tre anni, Nidal e Chayane, e la moglie Deniz. Mi parla di tutti i quattro processi, dei tre ricorsi in cassazione, per un totale di circa quaranta udienze, che ha subito dal 2006 al 2010, da cui è sempre stato prosciolto, perché “militante pacifista” – dicono i vari tribunali – non equivale a terrorista. “La vicenda – inizia il suo racconto in francese – si può far risalire alla mia nascita. Nasco in Belgio nel 1974 da padre turco. Un’estate vado in Turchia, erano gli anni ’90, gli anni in cui le ingiustizie perpetuate dal governo erano all’apice. C’erano torture, omicidi, e persone che scomparivano. Lì mi politicizzo e inizio a lottare per i diritti umani. Mi pongo come missione quella di far sapere cosa succede in Turchia e divento un personaggio scomodo per il governo turco”. Inizia così a fare militanza politica, promuovendo attività, scrivendo testi e traducendo comunicati, anche dei gruppi armati di resistenza turca. Il primo tassello utilizzato dall’accusa contro di lui per costruire quel puzzle di menzogne che lo designerebbe come terrorista e che serve per capire qualcosa in questa vicenda risale al 2000, quando lo stesso Bahar insieme alla moglie – che allora era solo compagna – fanno una piccola azione dentro il parlamento europeo, lanciando volantini e “accusando” il ministro degli affari esteri turco, Ismail Cem, di essere un bugiardo. Furono semplicemente scortati fuori e non ci fu, all’epoca, nessuna ripercussione giudiziaria, ma era evidente che al governo turco non sarebbe piaciuta. Poi l’attentato alle torri gemelle e la crescita del clima di tensione contro il terrorismo negli Stati Uniti, quanto in Europa e nello stesso Belgio, dove vive Bahar. La vita dell’attivista scorre normalmente fino al 2004 quando venne convocato dalla sezione antiterrorismo del Belgio per un comunicato del braccio armato di un gruppo marxista, il Dhkp-c, che lui aveva tradotto. “Nel 2004 – racconta – mi hanno convocato dalla sezione antiterrorismo del Belgio chiedendomi perché avevo tradotto quel comunicato e a me sembrò una follia. Gli risposi che traducevo tutto quello che usciva dalla Turchia perché per me quella era informazione. Ma in sostanza loro ci lessero una rivendicazione di un attentato, che non era nemmeno tale. Nel comunicato c’erano scritte scuse aperte perché era scoppiato un carico di esplosivo per sbaglio”. Da lì è iniziata la sua odissea. Fu accusato di terrorismo e su di lui pendevano due capi d’accusa letteralmente insensati: l’attività dentro il parlamento europeo e la traduzione del comunicato, che avrebbero dovuto provare quindi il suo coinvolgimento in attività terroristiche. Talmente assurde come prove che tutti i tribunali, nonostante i tre ricorsi alla cassazione- sempre da parte dell’accusa- lo hanno scagionato. Non toglie questo che tra un processo e l’altro si sia fatto diversi mesi di prigione, ingiustificata. Con l’ultima sentenza del 2008, Bahar pensava che tutto fosse finito e decide di mettere su famiglia, facendo con la moglie due figli. Si sbagliava. Su di lui pende ancora il mandato internazionale di cattura dell’Interpol sotto pressione dalla Turchia, che continua a chiederne a tutti i paesi l’estradizione e vent’anni di reclusione. Un vero e proprio accanimento. Bahar è il “nemico pubblico” di una Turchia che cerca di nascondere alle sorelle europee i suoi crimini e lo deve fare eliminando le voci della verità. “Dal 2010 fino a qualche mese fa ho potuto girare per l’Europa indisturbato – continua – poi improvvisamente torna attivo il mandato di cattura”. Il 18 giugno 2013, mentre era in vacanza con la famiglia a Cordoba, nel sud della Spagna, viene arrestato davanti agli occhi dei figli. Dopo altri tre giorni di prigionia e una cauzione di 10 mila euro, Bahar può tornare in Belgio in attesa della seconda udienza del tribunale di Madrid, da cui, tra l’altro, può essere convocato in qualsiasi momento e deve obbligatoriamente presentarsi. Il 21 novembre, arriva in Italia per dare conferenze sulla situazione siriana – di cui nel frattempo ha iniziato a occuparsi proprio per i rapporti internazionali che la legano alla Turchia – e, sempre sul mandato emesso da Ankara, Bahar viene nuovamente fermato, accerchiato da una quindicina di agenti della Digos e portato in carcere, dove rimane per due settimane. Non essendo prevista la cauzione per questi casi nella giurisdizione italiana, Bahar non può tornare in Belgio ma dovrà attendere in Italia fino alla decisione della corte di Brescia. Massa è stata scelta fra le varie opzioni presentate dal suo avvocato perché quella “più controllabile”. “Mi guardo allo specchio e ho paura: non pensavo di essere così pericoloso – ironizza Bahar – È un insulto- tornando alla serietà – che io che combatto per i diritti umani e contro il terrorismo, sia quello di stato che quello dei ribelli, venga accusato di tale reato”. Dalla casa ai Ronchi Bahar continua il suo lavoro: traduce, legge, scrive. Continua a fare quello che ha sempre fatto: lottare per i diritti umani, i suoi inclusi. Domani pomeriggio in piazza Largo Matteotti a Massa, sotto la statua del partigiano, ci sarà un presidio a partire dalle 16 proprio per chiedere la sua definitiva liberazione e soprattutto che non venga estradato in un paese dove la violazione dei diritti umani è all’ordine del giorno. Anche Amnesty International e Noam Chomsky sono intervenuti esprimendo le loro preoccupazioni per la vicenda Bahar Kimyongür e chiedendone la definitiva liberazione. Sul suo caso è stato prodotto anche un documentario, “Résister n’est pas un crime. Resistance is not a crime” di Marie-France Collard, Foued Bellali e Jérome Laffont. Bahar liber subito.

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