October 8, 2024
Il governo non ha perso tempo con il decreto legge (n. 34, 20 Marzo) che, liberalizzando i contratti a termine, divenuti ora sempre “acausali”, condanna al “precariato a vita” tutti quelli che, giovani e vecchi, troveranno o cambieranno lavoro. E’ un crimine sociale di enorme proporzioni, commesso nell’indifferenza quasi totale di partiti e sindacati, con l’eccezione — va riconosciuto — della Cgil e di Susanna Camusso, da cui è giunta una vera ripulsa, un po’ ritardata ma almeno molto netta.
Il fatto è che il decreto si è rilevato ancora peggiore di quanto si temesse: non si distingue più tra “primo” contratto a termine e contratti successivi tra le stesse parti, e non si richiede più nessuna causale “obiettiva” né per il contratto e neanche per le sue proroghe o rinnovi. Il contratto a termine, dunque si può fare sempre per tutti senza spiegare il perché e senza collegamento ad una esigenza temporanea, così come sempre si possono utilizzare contratti di somministrazione, null’altro che contratti a termine “indiretti”.
L’unico limite è di non passare, nel complesso, i 36 mesi di utilizzo a termine dello stesso lavoratore, per non far scattare una trasformazione a tempo indeterminato: un limite che già esisteva e resta, ma che ha sempre fatto più male che bene ai precari, perché i datori di lavoro sono sempre stati attenti, e più lo saranno, a non superare quella soglia temporanea. Vi è poi il “tetto” percentuale del 20% sul complesso dei lavoratori occupati in azienda, che rappresenta anch’esso un favore per il padronato perché “alza” il tetto già previsto dai contratti collettivi (in media 10–15 % dell’organico), che peraltro non ha mai funzionato, giacché le aziende, e soprattutto la P.A. (centri per l’impiego) tengono riservati o nascondono i dati numerici relativi.
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http://www.controlacrisi.org/notizia/Politica/2014/3/25/40000-contratti-a-termine-alleva-uno-sconcio-etico-e/
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