Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Bad Godesberg e sistema di BONN. Antifascisti e comunisti ancora non capiscono che senza lotta di classe, non c’è ricorso di avvocati, appelli di giuristi e abrogazione che tengano

Postato il 3 Febbraio 2014 | in Italia, Scenari Politico-Sociali | da

Comitato Antifascista per la Difesa e il Rilancio della Costituzione e Centro Il Lavoratore

Rigurgitante di tutte le belle cose volgari che il denaro procura, succede nella cultura e nella politica come nei naufragi: i valori solidi vanno a fondo, le cose leggere salgono a galla, ovvero: “niente è più ridicolo dell’impegno di uno stronzo”, per citare un epigramma di Pasolini rivolto a chi si impegna o crede di essere impegnato e crede di poter fare politica senza sapere o dimenticando che “fare politica significa fare storia e fare teoria”, e pretende pure di avere senza essere.  

Non ce ne vogliano ne i ricorrenti anti-porcellum ne i giuristi sostenitori di abrogazioni e tardivi appelli…………

Alleghiamo:

DEL POTERE NEL DOMINIO NEO-CAPITALISTICO  “CANCELLIERATO” E VERTICALIZZAZIONE.

Come modello esemplare di stato al servizio del capitale, l’ordinamento della RFT è quello che meglio esplicita un obbiettivo di conservazione “dell’equilibrio economico generalein una logica di politica economico-finanziaria che vede costituzionalizzato quel principio del “pareggio” di bilancio che è un tipico strumento dello stato liberale… “

“Nel modello di Bonn risulta chiara la totale assenza di quei “diritti sociali” e di quei rapporti “etico-sociali” ed “economici” della Costituzione dell’italiana, grazie ai quale le lotte sociali e politiche hanno avuto come strumento determinante l’uso politico del diritto di sciopero e la crescita politica del sindacato, per potenziare la valenza sociale della legge, e cioè dello stato, nella disciplina dei rapporti economici.”

 “Per i “pifferi di montagna” – ammiratori del modello di Bonn – scesi dalla Corte per suonarle a Berlusconi e sono invece stati suonati non piu da uno ma da due Berlusconi.

Ecco Cosa vuol dire fare o credere di fare e di poter fare politica senza ne teoria ne storia: è cosi che tutti i “sinistri” e i piu oscuri “sinistri”, ad es. del Manifesto (che titolando “Autogol”, per dire che i grilini oscurano le altre opposizioniquali opposizioni di grazia? ha ben indicato quel che il Manifesto consegue quotidinamente: come a dire a quelli che almeno si spendono e si sbattono, state fermi altrimenti si vede che noi non ci siamo e che facciamo niente, ma proprio niente )e dei Landini (che non ne vince una)  sembrano tutti dei Generali Cadorna, che passano da una Caporetto all’altra.

Ribadiamo: ancora una volta si conferma la chiaroveggenza pensiero marxista e comunista di Gramsci, e del suo massimo interprete: cioè del pensiero dell’italiano più conosciuto, più letto e più studiato nel mondo e il meno letto e studiato in Italia; il pensiero dei comunisti italiani  di Togliatti  che è stato indiscutibilmente il principale protagonista della Costituente e della Costituzione, e che in Costituente espressero dubbi sia sui referendum che sulla Corte . Per il motivo che noi stessi diciamo: perché abrogando poi ci si ferma e l’abrogazione finisce col sostituirsi alla lotta e, anzi, con eluderla illudendo che no serva più).   

 

Non ce ne vogliano ne i ricorrenti ne i giuristi sostenitori di abrogazioni e tardivi appelli. Ma è proprio cosi, ma, per cisi dire, abrogando si fa giustizia parziale…e poi ci sa ferma: perché a causa dell’abbandono della teoria della democrazia antifascista e di quella sociale e di classe e marxista contro la realtà dei rapporti socili, sia sul piano teorico che dei comportamenti e dei loro esiti contrari agli interessi dei lavoratori, si è scelto di svuotare completamente il carattere di classe della posizione e della fuzione del “lavoro” nel sistema dei rapporti tra società e stato: su cui si è fondata l’Italia democratica e l’epos della Resistenza e dell’antifascismo (di cui sembrano dimenticarsi chi, nei Siti, si dedica meritoriamente alla memoria della Resistenza come anche dell’Antifascismo), cioe,  nel rapporto tra classe operaia e ceti intellettuali e altri vari che hanno dato all’Italia il proporzionale, la Repubblica e la Costituzione

Ovvero, sia anche se si ha una cultura giuridicista (che del resto è quelle dalla borghesia che ha fondato lo stato e con essa la cultura giuridica) di avvocati e giuristi, o se si ha una cultura “riformista socialdemocraica di sinistra”; perché come è proprio anche l dei referendum abrogativi – c.d. “democrazia diretta” perché diretti da qualcuno e dall’alto – che sono strumenti della politica liberale,  non già della storia, della cultura  tradizione del movimento operaio socialista-comunista e della politica come lotta sociale di classe: lotta sociale e di classe che viene mmeno o che si ferma, proprio e anche perché con l’abrogazine si pensa di aver già fatto e gia dato e già ottenuto, e, quindi, com’è che pensano e dicono? Dicono: dice o che si pensa :  “e basta con sta lotta di classe” con cui ci avete rotto; e quindi basta con le vetero concezioni della tradizione del movimento operaio della democrazia antifascista e comunista e marxista: SIAMO O NON SIAMO IN UNA EUROPA-UE DEI “LIBERISTI” E  DEI RIFORMISTI SOCIALDEMCRATICI DI SINISTRA?

E allora “su dai“, “facciamo i bravi“; ci basta un bel mattarellum o il sistema socialdemocratico di Bonn che sono entrambi con ottimi sbarramenti  e maggioritari, e cosi che anche per le prossime elezioni nazionali per l’Europa. Nella belluina idea che conosciamo da tempo e di tanti, secondo cui se ti mostri meno intrasigente ti vengono incontro: e invece no: ti bastonano lo stesso e in piu non ha detto ne fatto quel che dovevi e ti è venuto volto fegatso (come  a noi difficilmente ci capita, perché rifiutiamo i sofismi di cui vedo predo anhe chi dovrebbe tutelare la memoria storica).

Non ce ne vogliano gli anti Porcellum ( di cui leggiamo che “avvocati Claudio Tani e Aldo Bozzi , insieme ai colleghi Giuseppe Bozzi e Felice Besostri, che sono andati prima in Cassazione e poi davanti alla Consulta, che ha dato loro ragione. Ora, però, il progetto Renzi-Berlusconi li fa infuriare. È anticostituzionale, dicono all’unisono mentre li intervistiamo: Non è cambiato nulla, anzi l’Italicum è peggio della legge Calderoli” (ha riferito Il Fatto anch’egli uno dei pifferi di montagna pro-mattarelum, cioè: a farabutto farabutto e  mezzo e a porcelleum porcellum e mezzo,  e avanti Savoia… o avanti pifferi di montagna :

cioè tutti gli antiberlusconiani, ex referendari pro-mattarellum, “sinistri” e i ricorrenti alla Corte,  tutti gli anti-porcellum che sono saliti e poi scesi dalla Corte per suonarle a Berlusconi e che invece sono stati suonati non piu solo da uno ma da due Berlusconi.

 

         “CANCELLIERATO” E VERTICALIZZAZIONE DEL POTERE

                            NEL DOMINIO NEO-CAPITALISTICO

 

Ancora una “Bad Godesberg” nella sinistra italiana?!” (ormai senza punto di domanda) 

 

 Dedicato in particolare agli immemori dell’appellativo di”Cancelliere” affibiato al De Gasperi intransigente   anticomunista negli slogan dell’epoca

10-8-1996

Nella subalternità culturale con cui la sinistra ha accompagnato la deriva della democrazia specie dopo la scomparsa di Berlinguer,[1]  la posizione che si presenta come arretrata e “difensiva”, come una linea di retroguardia che rischia di facilitare lo stravolgimento di un sistema nel quale si era tentato di fare della democrazia “formale” una base di lancio della lotta di classe per la trasformazione dei rapporti sociali, è rappresentata dalla scelta sia del PPI che di RC di giustapporre alle proposte di tipo “presidenzialiste”, gradite non solo alla destra sociale e politica ma anche ai “progressisti” del PDS, una soluzione ispirata al modello del “cancellierato” tedesco, indicato come soluzione di tipo “parlamentare” e come tale enfatizzato come “alternativo” alle ipotesi “presidenzialiste”.

 

Benché non ci sia più da sorprendersi degli “adattamenti” allo spirito della cosiddetta “seconda repubblica” con cui – con varie responsabilità – tutte le forze politiche operanti in questi anni novanta stanno compromettendo le sorti della democrazia in Italia, non va persa tuttavia l’occasione che viene ancora una volta offerta dalle debolezze politico-culturali della sinistra, per denunciare quella che si vorrebbe far passare come “difesa” conseguente della Costituzione – nei valori, cioè, dei suoi principi sociali utilizzabili in senso anticapitalistico – mediante l’assunzione del modello della Repubblica di Bonn, ispirantesi alla cosiddetta “economia sociale di mercato” e organizzata intorno al “cancellierato”. Si tratta di una posizione fatta propria da quei cattolici che cercano conforto nel fatto

che nella RFT la Democrazia Cristiana, specie oggi, è ben assestata al governo, e da quella sinistra che – sempre poco attenta (salvo – vedi caso – che in Togliatti, perciò ignorato nel suo ruolo di “costituente”) alle questioni istituzionali, con la scusa che sono “sovrastrutturali” – trova in definitiva comodo adagiarsi ora, dopo averla tanto demonizzata, sui destini della “socialdemocrazia” (e persino del “laburismo” inglese).

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IL Cancellierato prosegue la precedente tradizione liberale e, in contrasto con quella del PCI,  con esso è coerente il significato dell’esperienza della socialdemocrazia tedesca della tanto enfatizzata svolta di Bad Godesberg, che vede la socialdemocrazia abbandonare ogni riferimento classista in coerenza con il rifiuto della Costituzione di Bonn di fare del “lavoro” la base fondativa della repubblica, fondata invece su la “seconda rivoluzione industriale“, il ruolo della “moneta stabile” e la crescita della “produttività dell’economia nazionale“.

 

Il sistema del cancellierato proseguendo, da Bismarck in poi, il ruolo storico dell’autoritarismo tedesco, è stato lo strumento per fare della RFT il baluardo dell’Europa occidentale contro il blocco comunista, si che le coalizioni governative che hanno assicurato la “stabilità” sociale e istituzionale, hanno costantemente visto i socialdemocratici protagonisti dell’integrazione della classe operaia nella società capitalistica e nello stato.

Un ruolo della socialdemocrazia, consacrato da un principio costituzionale relativo ai partiti politici, che ha proclamato l’incostituzionalità dei partiti che “per la loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti tentano di pregiudicare ed eliminare l’ordinamento fondamentale democratico e liberale“, principio concretamente usato per sciogliere anche il partito  comunista.

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Tutto ciò sta avvenendo nel contesto di una situazione caratterizzata da una  totale assenza di dibattito nelle organizzazioni di sinistra, sulla natura e specificità dell’offensiva controriformatrice che da vent’anni è in atto per destabilizzare la democrazia italiana, ma anche nell’ignoranza diffusa in ogni settore della vita politica nazionale circa le caratteristiche del sistema tedesco, oggi con grande faciloneria e pressappochismo indicato come modello di una difesa “passiva” della nostra democrazia, per il semplice fatto che si è abbandonata una prospettiva strategica in nome del “socialismo”, finendo così con il ratificare implicitamente la storia dell’ultimo decennio, specialmente all’insegna

della “caduta del muro di Berlino”, e sostanzialmente cercando di acquietarsi nell’ambiguo limbo dell’esaltazione di quello “stato sociale” che, a suo tempo e coerentemente, era stato demistificato come stato “assistenziale” nelle sue diverse soluzioni delle socialdemocrazie tedesca, svedese e francese.

 

Quel che più preoccupa, nel contesto generale dei rischi che la passività della sinistra in materia di “istituzioni” continua a palesare, è la tendenza al semplicismo che – per una delega impropria ai giuristi che in modo sommario di fronte alla distinzione tradizionale tra sistema “parlamentare” e sistema “presidenziale”, collocano il “cancellierato” nel novero dei sistemi “parlamentari” – induce a una operazione subalterna e di rimessa volta a scambiare quello che è un vero e proprio “ripiegamento” teorico-politico come fosse una contrapposizione reale e non fittizia alle soluzioni di tipo “presidenziali” o alle sue “varianti”.

 

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Al cancelliere federale è attribuita una netta prevalenza nell’ambito del governo e il cancelliere potrebbe svolgere la propria azione solo con l’attivo e continuo appoggio dei poteri del presidente della repubblica che ha la possibilità di mantenere in carica il Cancelliere, quand’anche questo fosse posto anche formalmente in minoranza, dichiarando lo stato di “emergenza legislativa” con cui l’esecutivo è legittimato ad attuare il proprio indirizzo legislativo anche senza la fiducia dell’organo rappresentativo.

            Alla preminenza del Cancelliere, v’è tuttavia da aggiungere persino quella del Presidente della Repubblica, per la possibilità di governi “minoritari” solo poggiati sulla volontà del presidente medesimo, nel qual caso è il presidente della repubblica ad assumere la prevalenza diventando di fatto il vero capo dell’esecutivo.

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Il “presidenzialismo e le sue varianti” ( il “semi-presidenzialismo” alla francese, l’elezione diretta del presidente del consiglio o ipotesi israeliana) equivalenti a loro volta della nomina del “premier” britannico che viene rappresentato come la forma più classica del sistema parlamentare “bipartitico”, danno invece la prova di quanto siano invece del tutto secondarie le diverse procedure di insediamento dei vertici dello stato: sino al punto che il “presidenzialismo” statunitense e il “premierato” britannico possono valutarsi come delle semplici alternative formali di ciò che è sempre  uno stesso ruolo di potere dall’alto. E’ quindi inaccettabile un metodo di analisi che concluda – o peggio assuma come premessa – che la previsione del voto di fiducia e di sfiducia costruttiva da parte del parlamento verso il Cancelliere tedesco, siano sufficienti a far includere quest’ultimo tra i variabili modelli di governo “parlamentare”: dimenticando che le differenza tra “cancelliere” e “premier” vanno verificate alla luce soprattutto del nesso tra quella che è la forma dell’investitura e la titolarità dei poteri che comporta, sicché il “cancelliere” risulta anch’esso espressione qualificante di un potere di tipo “monocratico” contrapposto alla comunità e al parlamento, nel contesto dei comuni principi che sempre più accomunano le variabili forme di governo. Principi che sempre più si sono attestati, nel rapporto tra società-civile e società-politica, in una prospettiva univoca fondata sul “primato” dell’esecutivo sul parlamento, per vanificare e comunque ridurre il peso della sovranità popolare e, con essa, di quelle forze sociali storicamente e strutturalmente subalterne.

 

Se non si sottolinea il carattere alternativo tra l’analisi giuridica “borghese” e l’analisi di tipo “marxista

(l’una struttural-funzionalista e l’altra organico-critica), non si può quindi cogliere il senso reale di normative istituzionali di organizzazione del dominio dall’alto e di esclusione sociale che sono equivalenti tra loro, che stanno dentro le linee applicative di una strategia comune che viene concretata mediante l’uso differenziale dei “segmenti” relazionali dei vari organi costituzionali – capo dello stato, capo del governo, assemblee elettive – a seconda delle circostanze connesse alle vicende storico-politiche dei singoli ordinamenti sociali dei vari paesi: sicché lo “specialismo” culturale si offre e serve come meccanismo preordinato ad occultare l’identità ideologica che oggi accomuna le forme di governo “parlamentare” fondate sul primato dell’esecutivo e le forme di governo “presidenziale”, tenuto conto sia della natura dei rapporti tra le forze politiche sia degli interessi sociali – ovvero di classe – che si fronteggiano nella società contemporanea, nell’ambito di quella che si tende a chiamare “globalizzazione dell’economia”.

 

I giuristi, pertanto, tendono a classificare il sistema di governo della RFT come “parlamentare”, per il solo e semplice fatto “formale” che il Cancelliere è legittimato nella titolarità dei suoi poteri da un organo rappresentativo del popolo, mentre perché sia classificabile come “presidenziale” un sistema di governo, si ritiene che basta riferirsi al carattere “plebiscitario” della elezione diretta del capo dello stato. Salvo però poi dover cogliere una serie di elementi contraddittori rispetto ad una inevitabile valutazione non più solo formale ma “sostanziale”, in base alla quale si constata che: “al cancelliere federale è attribuita una netta prevalenza nell’ambito del governo”; che il cancelliere potrebbe trovarsi in condizione di svolgere la propria azione “solo con l’attivo e continuo appoggio dei poteri del presidente della repubblica” che “ha la possibilità di mantenere in carica il cancelliere”, posto anche formalmente in minoranza, dichiarando lo “stato d’emergenza legislativa” con cui l’esecutivo è legittimato ad attuare “il proprio indirizzo legislativo anche senza la fiducia dell’organo rappresentativo”, tenuto conto che nella RFT il bicameralismo “non paritario” consente al Bundesrat – la seconda camera – di capovolgere il suo apparente stato di inferiorità rispetto al Bundestag ove dia l’assenso ad una legge rigettata da quest’ultimo” (Mortati)

 

Ben diversa da quella che viene prospettata è – quindi – la portata del modello della Repubblica di Bonn,

che ha “razionalizzato” il modello di Weimar, in funzione degli obbiettivi di razionalizzazione prima “sociale” che “istituzionale”, perseguiti nell’elaborare una “legge fondamentale” che le potenze occupanti hanno voluto fosse improntata a principi socio-politici diversi da quelli che ispiravano – nel contempo – il modello della prima costituzione francese del 1946, respinta dal ricorso reazionario al referendum sollecitato dal generale De Gaulle (divenuto solo 12 anni dopo il demiurgo della V repubblica “presidenzial-bicefala”) e della Costituzione italiana del 1948, non a caso sottoposta a continui attacchi sin dal momento della sua entrata in vigore: con l’obbiettivo cioè di evitare che in Germania, per antitesi al nazismo, prendesse vita un ordinamento posto ai suoi antipodi, dando pertanto corpo ad un sistema che, non a caso, si è rivelato il prototipo di quella che si chiama “economia sociale di mercato” e che è ora indicato come modello da imitare, in quanto la sua funzionalità agli interessi del capitalismo internazionale si è rivelata tale che la Germania è divenuta coerentemente il nucleo istituzionale più corrivo all’organizzazione sovranazionale comunitaria, sorta in nome dell’anticomunismo nel 1957 e rivelatasi tale da poter piegare ai suoi interessi gli ordinamenti statuali di cui è attualmente il prolungamento.

 

Mentre si discetta visibilmente e demagogicamente sugli aspetti esteriori del processo di manipolazione delle nostre istituzioni democratiche, tutto il silenzio che si cerca di mantenere sugli obbiettivi reali della strategia delle “riforme istituzionali” – e che ora comincia a diradarsi, sotto l’impulso di chi dal primo momento aveva divisato di contrattaccare avverso il modello di democrazia sociale contenuto nella costituzione del 1948 – riguarda in realtà il contenuto intimo così massimalisticamente denunciato da frange di estrema sinistra succedutesi sin dall’epoca costituente, perché – lungi dal prospettare quel modello di “economia sociale di mercato” su cui oggi si ripiega per adeguare anche il sistema italiano a quello della RFT – il patto sottoscritto nel 1948 dall’incontro tra la cultura cattolica e quella marxista mirava a porre le premesse di una transizione che, benché non iscritta nella prospettiva del socialismo, legittimava una contraddizione non più statica ma dinamica nella lotta aperta tra le due ideologie che si contrapponevano da occidente ad oriente e viceversa. Tale distinzione – che implica un’analisi critica del rapporto tra

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La Repubblica di Bonn ha “razionalizzato” il modello di Weimar in funzione degli obbiettivi di razionalizzazione prima “sociale” che “istituzionale”, perseguiti nell’elaborare una “legge fondamentale” che le potenze occupanti hanno voluto fosse improntata a principi socio-politici diversi da quelli che ispiravano – nel contempo – il modello della prima Costituzione francese del 1946 e della Costituzione italiana del 1948 .

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 “modello di democrazia sociale” (genericamente, ma impropriamente, riferito a tutte le forme di stato contemporaneo da una cultura conservatrice interessata ad occultare le articolazioni reali) e “modello istituzionale” delle forme di governo – emerge chiaramente ove si passi ad una verifica più ravvicinata del modello di Bonn.

Modello di Bonn che si discosta da quello di Weimar per la peggiorativa parte degli obbiettivi economico-sociali

– per i quali, invece, si è consolidato il “mito” weimeriano -più  che per la parte riferibile alla forma di governo, se con riferimento a questa è stato addirittura notato non solo che quel che “prevalse informando in se tutto il meccanismo istituzionale della Germania di Bonn è una netta prevalenza che, in ultima analisi, equivale a stabilire un’effettiva “preminenza dell’esecutivo” (anzi meglio, una preminenza del cancelliere: da ciò l’attuale sistema di Bonn viene qualificato come “KANZLERDEMOKRATIE”) sul “legislativo” : ma addirittura che, al di là del tentativo di evitare i rischi “presidenzialistici” insiti nel modello weimeriano, nel sistema tedesco v’è anche da aggiungere, alla preminenza del cancelliere, persino  la preminenza  del presidente della repubblica,

per  la possibilità di formare  governi “minoritari” “solo in quanto poggiati sulla volontà del presidente medesimo, nel qual caso è il presidente che assumerà la prevalenza diventando, di fatto se non di diritto, il vero capo dell’esecutivo”

Non sul “lavoro”,  ma “sulla moneta”, la “produttivita’” e il federalismo e’ fondato il cancellierato

Inevitabile appare a questo punto andare a vedere quel che di più significativo la Costituzione di Bonn

 – anche se scarsamente considerato, specialmente oggi – ha assunto a fondamento della “forma di stato”, e precisamente quel nucleo di principi che non concernono tanto l’aspetto “federalistico” dello stato su cui tanto mistificatoriamente si sta discettando, quanto piuttosto quello dei “diritti”, perché anche ad una lettura sommaria risulta chiara la totale assenza di quei “diritti sociali” che sono i soli che consentono di qualificare coerentemente un ordinamento come democratico sociale, limitandosi la Costituzione di Bonn a stabilire un’intima coerenza tra la natura “liberale e democratica” dell’ordinamento (art.10; art.91) e i diritti civili e politici della sola “persona” : con la conseguenza che c’è un pressoché totale silenzio su quei rapporti “etico-sociali” ed “economici” che caratterizzano la Costituzione italiana.

Ciò in particolare a causa della profonda differenza che il sistema dei partiti e il ruolo dei sindacati ha assunto nella RFT e in Italia ove, pur entro la serie di contraddizioni sviluppatesi dal 1947 in poi, le lotte sociali e politiche hanno avuto come strumento determinante l’uso politico del diritto di sciopero e la crescita politica del sindacato, per potenziare la valenza sociale della legge, e cioè la valenza sociale dello Stato, nella disciplina dei rapporti economici.

Il modello di Bonn infatti, rappresenta un forte arretramento rispetto al modello weimariano, nel quale

 – pur con i limiti intriseci alla cultura socialdemocratica del 1919 – entra per la prima volta la “vita collettiva”, e in tale ambito la “vita economica”; con la specificazione del primato delle “norme fondamentali della giustizia” sull’ordinamento della vita economica e dei limiti entro i quali è da tutelare la libertà economica (art. 151), dei vincoli specifici della proprietà fondiaria a favore anche del diritto di abitazione, con la previsione del principio di socializzazione dell’economia sia nelle forme di partecipazione pubblica all’amministrazione di imprese economiche sia di forme di collaborazione dei fattori di produzione sia della compartecipazione dei datori e prestatori di lavoro all’amministrazione (art. 156), con la preminenza dei diritti civici su quelli di lavoro e le garanzie di tutela degli interessi dell’intera classe dei lavoratori “per un minimo di diritti sociali comuni a tutti” (artt. da 160 a 162), anche con riguardo all’occupazione.

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La Costituzione italiana mirava a porre le premesse di una transizione che, benché non iscritta nella prospettiva del socialismo, legittimava una contraddizione non più statica ma dinamica nella lotta aperta tra le due ideologie che si contrapponevano da occidente ad oriente e viceversa.

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E’ proprio con riferimento al modello di Bonn, allora, che valutando le costituzioni democratiche del secondo dopoguerra, si può convenire che, diversamente da quella italiana, si tratta pur sempre di una costituzione che prosegue la precedente tradizione “liberale”, sicché il sistema di Bonn va letto attraverso le vicende proprie degli “stati di partiti”, cioè sia tenendo presente l’identità dei partiti di massa sia la natura mutevole dei loro rapporti, nel caso di quelli tra la socialdemocrazia e la locale democrazia cristiana.

In tal senso esprime in tutti i suoi risvolti il significato dell’esperienza della socialdemocrazia tedesca, in contrasto con quella del PCI e del PCF, la tanto enfatizzata svolta di Bad Godesberg – datata 1959, due anni dopo la firma dei Trattati di Roma per creare il MEC, e un anno dopo il colpo gollista da cui è derivata la V Repubblica francese – svolta che vede la socialdemocrazia abbandonare ogni riferimento classista in coerenza con il rifiuto della Costituzione di Bonn di fare del “lavoro” la base fondativa della repubblica, sicché si afferma che lo stato deve creare i presupposti a che “il singolo possa dispiegarsi rendendo liberamente conto di sè pur rispettando i propri obblighi sociali”, e che in quanto “stato sociale deve garantire l’esistenza dei suoi cittadini in modo tale da rendere possibile a ognuno una responsabile autodeterminazione e lo sviluppo di una società liberale“. E ciò mediante l’esaltazione della “seconda rivoluzione industriale”, del ruolo della “moneta stabile”, della crescita della “produttività dell’economia nazionale”, mentre per enfasi residua si constata che laddove predomina la grande impresa non esiste libera concorrenza, che il potere economico si trasforma in potere politico, predicando che un efficace controllo pubblico deve impedire ogni abuso di potere dell’economia, mentre compito del sindacato è quello di rendere ogni lavoratore capace di una “continua collaborazione” e la cogestione deve trasformarsi in uno statuto imprenditoriale democratico per la grande industria.

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Nel modello del Cancellierato tedesco risulta chiara la totale assenza di quei “diritti sociali” e di quei rapporti “etico-sociali” ed “economici” che caratterizzano la Costituzione dell’italiana, grazie ai quale le lotte sociali e politiche hanno avuto come strumento determinante l’uso politico del diritto di sciopero e la crescita politica del sindacato, per potenziare la valenza sociale della legge, e cioè dello stato, nella disciplina dei rapporti economici.

Il modello di Bonn, infatti, rappresenta un forte arretramento anche rispetto al modello Weimeriano, nel quale – pur con i limiti intrinseci alla cultura socialdemocratica del 1919 – entra per la prima volta la “vita collettiva”, e in tale ambito la “vita economica”, con la specificazione del primato delle “norme fondamentali della giustizia” sull’ordinamento della vita economica che nella “democrazia del cancellierato” sono del tutto assenti.

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Non può allora dimenticarsi che il sistema del cancellierato – che prosegue il ruolo storico della preminenza dell’esecutivo dalla Germania “bismarckiana” a quella weimariana – è stato usato per fare della RFT il baluardo dell’Europa occidentale contro il blocco comunista, si che le coalizioni governative che hanno assicurato la “stabilità” sociale e istituzionale, hanno costantemente visto i socialdemocratici protagonisti dell’integrazione della classe operaia nella società capitalistica e nello stato. Con modalità particolarmente lesive degli stessi diritti fondamentali propri di uno stato liberale, soprattutto in quella fase vissuta all’insegna di quella che è stata definita “germanizzazione” negli anni 1968-1977, culminando nell’introduzione nella Costituzione dei poteri relativi sia allo “stato di emergenza” che allo “stato di difesa” (artt. 87 e 115), principi anch’essi assenti nella nostra costituzione: sarebbe pericoloso dimenticare il tristemente famoso “berufsverbot” così contrastante con i principi del liberale stato di diritto, la cui emanazione è sempre possibile per la presenza nella Costituzione tedesca di norme sulla “perdita” di diritti fondamentali per “abuso” delle principali libertà “per combattere l’ordinamento fondamentale democratico e liberale” (art. 18).

Ed è comunque meritevole di attenzione – specie dopo la riunificazione tedesca – che il modello della democrazia solo “formale” ed oltretutto esplicitamente “limitata” in un impianto istituzionale che è assai forzato chiamare “parlamentare”, sia stato completato da un principio costituzionale relativo ai partiti politici gravemente lesivo della democrazia sia formale che sostanziale, in quanto – diversamente dalla Costituzione italiana che (sia pure in una norma “finale”) ha posto il divieto della ricostituzione del partito “fascista” – ha proclamato l’incostituzionalità dei partiti che “per la loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti tentano di pregiudicare ed eliminare l’ordinamento fondamentale democratico e liberale o di minacciare l’esistenza della RFT” (art. 21), principio che è stato concretamente usato per sciogliere sia il partito nazista sia il partito comunista, come consacrazione di un ruolo della socialdemocrazia del tutto conforme ad una  Costituzione che – ad onta della proclamazione, ora ripetuta anche in Italia, sull’essenzialità dello “stato sociale” – è estremamente coerente nell’aver attratto nell’orbita delle più  tradizionali concezioni del potere i meccanismi storicamente preordinati a conservare gli assetti del capitalismo.

 

Per meglio comprendere sia gli assetti di potere esistenti nei vari ordinamenti, sia le ragioni delle pressioni esercitate per “riforme istituzionali” come quelle predicate per il “caso italiano”, quel che più è importante è il criterio sia formale che sostanziale adottato costituzionalmente per le decisioni e, nell’interdipendenza tra soggetti delle decisioni, gli obbiettivi delle decisioni medesime: sicché nelle discettazioni in corso sulla preferibilità di presidenzialismo, semipresidenzialismo e cancellierato – nonché di elezioni a uno, o a due turni – grave è il rischio che si rimanga impigliati nella pania – e nella panacea – del “rafforzamento dell’esecutivo”, cui non sono affatto insensibili (ragionando “pro domo sua”) anche i gruppi dirigenti di una sinistra anelante solo ad entrare nella stanza dei bottoni per “gestire affari altrui”, dimenticando che in tal modo si prefigurano solo le condizioni dell’esercizio di un potere incontrollato con totale cancellazione della democrazia.

Infatti, scopo delle cosidette riforme istituzionali è quello di spostare l’asse delle decisioni – che peraltro, è sempre stato storicamente accentrato – verso un’area esente dalle incursioni  delle forze sociali tradizionalmente oppresse, così che si mira non solo a subordinare il parlamento al governo, ma addirittura ad escludere da un ruolo di potere la stessa partecipazione del parlamento anche alle sole forme finali della “approvazione” di atti di governo, ritenuti comunque rilevanti in linea di diritto o anche solo di fatto: questo mediante il passaggio da quella che tecnicamente si chiama “riserva di legge”, alla delegificazione e alla “riserva di regolamento”, adottando altresì il gioco della preminenza delle leggi cosiddette “organiche” con cui anche il “federalismo” persegue i suoi obbiettivi di accentrare il potere.

Tutto ciò stando al vecchio armamentario dello stato moderno che racchiude l’uso di quello che burocraticamente si definisce come il “sistema delle fonti giuridiche”: armamentario che tuttavia è stato sempre “modernizzato” a fini di repressione con la politica dell’ordine pubblico, sempre attualizzato ai fini del governo “politico-amministrativo”.

Quello che però riguarda più strettamente non già i rapporti tra “cittadini” e stato, ma tra istituzioni sovranazionali e nazionali e “produttori” (nella doppia veste di capitalisti e di lavoratori) e che vale ad alterare il ruolo sostanziale della stessa cittadinanza, concerne la regolazione dell’economia nei suoi risvolti sociali. Quindi, di fronte a tale sempre più preponderante funzione assolta dallo stato e in generale dalle istituzioni, il “rafforzamento dell’esecutivo” serve a coprire l’area di potere non solo delle “tecnostrutture politiche”, ma soprattutto ed anche delle “tecnostrutture economiche”, come tali considerate esenti in via di principio da contaminazioni con la democrazia, pur se intesa entro gli angusti limiti della tradizione liberale.

Proprio l’ordinamento della RFT – come modello esemplare di stato al servizio del capitale – è quello che meglio esplicita un obbiettivo di conservazione “dell’equilibrio economico generale”, all’insegna dei criteri per l’attuazione dei quali gli organi di vertice dello stato federale mantengono un rapporto privilegiato con la Banca di Stato appositamente istituita, in una logica di politica economico-finanziaria che vede costituzionalizzato quel principio del “pareggio” di bilancio che è un tipico strumento dello Stato liberale (art. 110), e che si compenetra dei valori che istituzionalmente qualificano la funzione della Bundesbank (art. 88). Per questo uno dei più insistiti – e meno noti – motivi delle riforme istituzionali è legato alla proposta di modifica dell’art. 81 della nostra Costituzione, ad onta della quale è stata introdotta nel 1978 la ben nota e famigerata “legge finanziaria”. Così che, ad ogni buon conto, in questo modo le forze conservatrici spingono per consacrare, con la modifica dell’art. 81, il cuneo già operante della Legge finanziaria, alterando così il quadro dei rapporti tra le norme costituzionali che negli anni sessanta e settanta erano state usate da sinistra per tentare di controllare l’economia privata – contro il disegno della politica “dei redditi” perseguito dal centrosinistra – e quello sul Bilancio dello stato.

Il tutto in una perseguita prospettiva di più generale subordinazione dell’ordinamento italiano a quei principi di cosiddetta “costituzione economica” che da Bonn si sono irradiati nel sistema comunitario europeo, ed ora incombono in una caratterizzazione sempre più drasticamente “antisociale” della simbiosi tra sistema delle Banche Centrali allocate nella CE, e gruppi di potere politico “servente”, giudicati tanto più funzionali al sistema capitalistico se estratti dal personale burocratico dei partiti “progressisti”, tanto meglio se ex socialisti ed ora anche ex comunisti.

Come modello esemplare di stato al servizio del capitale, l’ordinamento della RFT è quello che meglio esplicita un obbiettivo di conservazione “dell’equilibrio economico generale” all’insegna dei criteri per l’attuazione dei quali gli organi di vertice dello stato federale mantengono un rapporto privilegiato con la Banca di stato appositamente istituita, in una logica di politica economico-finanziaria che vede costituzionalizzato quel principio del “pareggio” di bilancio che è un tipico strumento dello stato liberale, e che si compenetra dei valori che istituzionalmente qualificano la funzione della Bundesbank.

 

Il Movimento Antifascista per la Difesa e il Rilancio della Costituzione

   Che cosa è l’ordinamento istituzionale tedesco del “cancellierato”

Storicamente il sistema costituzionale e istituzionale tedesco del “cancellierato” che, dalla Germania “bismarckiana” a quella presidenzialista della repubblica di Weimar, prosegue la tradizione storica dell’autoritarismo tedesco fondato sulla preminenza dell’esecutivo sul parlamento, è stato il sistema istituzionale e costituzionale usato dalle occupanti potenze anglo-americani che l’hanno imposto, per perseguire all’interno, obbiettivi di stabilizzazione sociale prima ancora che istituzionale, per evitare che in Germania, per antitesi al nazismo, prendesse vita un ordinamento posto ai suoi antipodi; e all’esterno fare una costituzione improntata a principi socio-politici diversi ed opposti a quelli che ispiravano Costituzioni parlamentari come quella francese del 1946 abrogata attraverso il ricorso reazionario allo strumento referendario da parte di De Gaulle e quella italiana del 1948 sottoposta a continui attacchi fin dalla sua entrata in vigore, per farne la base di partenza di una controffensiva contro quelle costituzioni parlamentari e un prototipo da imitare per il rilancio costituzionale e istituzionale di un modello di funzionalità agli interessi del capitalismo internazionale, tanto che la Germania è divenuta coerentemente il nucleo istituzionale più coerente con l’organizzazione sovranazionale dell’Europa comunitaria sorta in nome dell’anticomunismo nel 1957 e rivelatasi tale da poter piegare ai suoi interessi gli ordinamenti statuali di quei paesi che come l’Italia, prevedono la supremazia del Parlamento anche sugli organismi economici finanziari e bancari che si vorrebbe abrogare con le riforme istituzionali per un adeguamento dell’Italia all’Europa di Maastricht, disegnata sui parametri del modello tedesco del primato del governo sul parlamento e dell’irresponsabilità giuridica e istituzionale della Banca centrale verso chicchessia.

In tal modo, il sistema tedesco di Bonn imperniato sul cancellierato è stato usato anche per fare della

Repubblica Federale Tedesca il baluardo dell’Europa occidentale contro il blocco comunista, tanto che  le coalizioni governative hanno assicurato la  stabilità sociale e istituzionale e hanno costantemente visto i socialdemocratici tedeschi protagonisti dell’integrazione della classe operaia nella società capitalistica e nello Stato, anche con modalità particolarmente lesive degli stessi diritti fondamentali propri di uno stato anche semplicemente liberale, all’insegna di quella fase che veniva definita di “germanizzazione”, culminata con l’introduzione nella costituzione di poteri presidenzialistici in merito alla possibilità di proclamare lo “stato di emergenza” e lo “stato difesa”, che hanno permesso il tristemente noto “berufsverbot” per licenziare, come in Usa all’epoca del fascismo maccartista, tutti coloro considerati non affidabili e la cui emanazione è sempre possibile per la presenza nella Costituzione di norme che prevedono la “perdita” dei diritti fondamentali per “abuso” delle principali libertà contro “l’ordinamento fondamentale democratico e liberale” del sistema capitalistico degli interessi. Tanto che sarebbe assai forzato chiamare “parlamentare” un impianto istituzionale che legittima principi costituzionali lesivi della democrazia formale come di quella sostanziale con la proclamazione dell’incostituzionalità dei partiti che “per la loro finalità o per il comportamento dei loro aderenti tentano di pregiudicare ed eliminare l’ordinamento fondamentale democratico e liberale”, principi concretamente usati per sciogliere il partito comunista, come consacrazione di un ruolo della socialdemocrazia del tutto conforme ad una costituzione che ha coerentemente attratto attorno al potere monocratico del cancellierato tutti i meccanismi storicamente preordinati a conservare gli assetti del capitalismo.

Insomma il sistema tedesco del cancellierato si presenta come la forma del potere costituzionale e istituzionale borghese più compiuta, tanto da essere stata indicata nel Piano di Rinascita democratica della Loggia P2 di Gelli come il modello di riferimento per la riforme istituzionali e del sistema  politico italiano.

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