December 2, 2024
La denuncia dei Cobas raccolta dalla stampa locale
Oltre i neon scintillanti, al di là dei colori pastello delle stanze di degenza, fuori dai corridoi che odorano di disinfettante c’è un altro mondo all’ospedale di Cisanello. Un mondo che spesso non è all’altezza di una struttura definita di livello europeo. A denunciarlo è il documento di un’ispezione voluta dai Cobas per verificare le condizioni di igiene e sicurezza sul lavoro. È una piccola cittadella di stanze, un labirinto di passaggi popolato da addetti ai lavori che svela ben più di quanto appare. Il nostro viaggio in questo mondo che passa spesso inosservato (chi va in ospedale il più delle volte ha altro per la testa) comincia alla periferia est, oltre l’edificio 30. Una distesa di prefabbricati che fa da uffici e spogliatoi e, soprattutto, che ospita la lavanderia. In questo container quattro lavatrici industriali lavorano 18 ore senza fermarsi, dalle 5.30 alle 23.30, per lavare i twist (niente più che particolari stracci per pulire i pavimenti) e le pezze con le quali vengono pulite stanze e sale operatorie. Soprattutto queste ultime sono di quattro colori: rossi e gialli per pulire i bagni, verdi e blu per le superfici delle stanze. Dovrebbero essere separati sia per tipologia che per colore ma sono troppi da pulire e ogni lavatrice impiega un’ora per finire il programma (quando funziona bene, a volte il lavaggio va ripetuto) quindi finiscono tutti insieme. I “cencini” usati per pulire le sale operatorie nello stesso cestello dei twist usati per pulire per terra. Il container non è areato eppure là dentro le lavoratrici della Sodexo (la ditta che ha l’appalto per i lavori di pulizia) devono maneggiare l’Ozonit, il disinfettante necessario per igienizzare i capi lavati. Niente mascherine e nemmeno un lavandino per lavarsi le mani dopo l’uso. Un banale conto fa capire che qua dentro vengono lavati qualcosa come 4.300 capi il giorno. Poco più all’esterno c’è l’area dove vengono immagazzinati i rifiuti sanitari, quelli etichettati come pericolosi e a rischio infettivo giacciono dentro contenitori di cartone monouso destinati all’inceneritore: tutto va bene con il bel tempo, dato che sono accatastati all’esterno, ma quando piove i cartoni si sfaldano e la gestione non è così semplice. Quegli stessi rifiuti sono raccolti dentro l’edificio 30 (chirurgia generale) in una stanza senza aerazione e la cui porta di ingresso deve essere lasciata aperta, come gentilmente avverte la scritta a pennarello che vi campeggia sopra. Edificio 6, detto il monoblocco, ospita fra le altre radiologia e il reparto trapianti di fegato. Qui ci sono gli spogliatoi di infermieri, dottori e operatori sanitari. Entrare è facile, la porta è aperta, si scende per una scala e sulla sinistra c’è l’archivio dei trapianti di rene a pancreas, facilmente raggiungibili. Gli spogliatoi, aperti anch’essi, presentano una situazione igienica a dir poco deficitaria: piatti doccia molto sporchi e lavandini otturati, quando non rotti. A questo, ed altro, si trova conferma nella relazione che confederazione Cobas ha chiesto il 15 febbraio all’ingegner Marco Spezia, tecnico della salute e sicurezza sul lavoro, nella cui relazione finale si legge: «Vi è carenza di sacchi neri per la raccolta di rifiuti, tanto che i lavoratori sono costretti a riutilizzare quelli usati girandoli dentro/fuori» e ancora «Manca una struttura organizzate per la gestione delle emergenze» e per finire «Agli addetti al trasporto di rifiuti non sono stati erogati specifici corsi di formazione».
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