December 2, 2024
Mentre proseguono i negoziati per l’accordo di libero scambio tra Ue e Stati Uniti, cresce il malcontento popolare: sabato 18 aprile giornata di mobilitazione per chiedere il blocco del trattato. Due ideologie contrastanti, due globalizzazioni a confronto: da un lato gli interessi di poteri forti e corporation, dall’altra la difesa di diritti, welfare e servizi.
Mentre l’Italia fa ancora i conti con le ferite aperte del G8 del 2001, due globalizzazioni scendono in campo. Una sembra uno scioglilingua ma potrebbe cambiare molte cose : il “TTIP”, che sta per Transatlantic Trade and Investment Partnership. Lunedì 20 aprile, a New York, prende avvio il nono round di negoziati per questo accordo di libero scambio tra Unione europea e Stati Uniti. Il premier italiano a Washington lo ha definito “un grande obiettivo verso il quale l’Italia sta spingendo con grande determinazione” e dal quale “avrebbe tutto da guadagnare”. Sintonia perfetta quindi con Barack Obama, che a fine mandato spinge l’acceleratore e – con l’accordo dei repubblicani – ottiene un mandato per “negoziare veloce”.
Per i sostenitori dell’accordo, l’economia ne gioverà, l’occupazione crescerà, gli investimenti ne verranno liberati. È la globalizzazione che a parole comincia dal vantaggio economico, dalla caduta delle barriere, dalla ricerca di una omogeneità di regole. L’altra globalizzazione è quella che scende in piazza contro l’accordo e l’opacità delle trattative: un milione e settecentomila europei che hanno firmato la petizione per chiedere alla Commissione lo stop delle trattative. E le quasi 700 città del mondo che hanno scelto una data comune, il 18 aprile, per chiedere il blocco dell’accordo: c’è anche l’America che dissente, e l’Italia partecipa con proteste in decine di città e il sostegno di una galassia varia di associazioni, circa 200. Sembra un film già visto, un ricorso della Storia, la visione di una terra promessa della globalizzazione economica contro il fronte per la salvaguardia e la globalizzazione dei diritti. E in parte lo è, ma è anche molto di più. Vediamo perché.
Dietro il freddo acronimo TTIP c’è un progetto ampio che nasce con un peccato originale: la mancanza di trasparenza. Dopo anni di trattative condotte in segreto, di opacità e di fughe di notizie, Bruxelles ha recentemente avviato un percorso di pubblicazione di dossier, ma la pubblicità dei negoziati è ancora limitata. In superficie, le due parti riunite al tavolo dovrebbero individuare standard comuni che consentano appunto il libero scambio.
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