November 9, 2024
EU summit in Ypres: National conflicts and militarism
http://www.wsws.org/en/articles/2014/06/30/euro-j30.html
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Il settimanale tedesco “Die Zeit” è forse il prodotto giornalistico di più alta reputazione in Germania e notoriamente ha una linea editoriale politicamente liberale, genericamente centrista. Non è insomma da ritenere un organo “anti-imperialista” o ostile agli Stati Uniti. Ecco perché quanto successo il 6 giugno scorso ha dello straordinario. “Die Zeit“ ha infatti aperto il suo portale online con un incredibile attaco frontale alla politica vigente dell’Unione Europea, in riferimento al conflitto in Ucrania. Lo ha fatto dando voce a Chris Luenen, direttore del programma geopolitico del Global Policy Institute a Londra, il quale propone all’UE di smetterla di sottomettersi a una strategia made in USA, e imparare piuttosto a difendere i propri interessi: “L’Europa sin da sempre è stata debole nel difendere i propro interessi“, ha dichiarato l’autore.
L’articolo, intitolato “Politica estera: L’Europa deve ricalibrare le relazioni con gli USA” (con a pagina 2: “La Grand Strategy statunitense non è nell’interesse dell’Europa“) constata che l’UE segue una strategia definita unilateralmente da Washington, invece di definire una strategia in base ai propri interessi. Interessi, i quali raccomanderebbero a Bruxelles di allearsi più strettamente con la Russia. L’UE dovrebbe sviluppare pure le relazioni transatlantiche, secondo l’autore, ma cercare di imporre i suoi interessi anche verso gli amici.
L’articolo ricorda la strategia formulata tempi addietro dall’ex-consigliere per la sicurezza nazionale statunitense Zbigniew Brzezinski, che definiva l’Europa quale “irrinunicabile testa di ponte geopolitica” degli USA nel territorio eurasiatico“. In effetti, Brzezinski aveva formulato in forma inequivocabile gli interessi degli USA nell’Ucrania: ”Senza l’Ucrania, la Russia non è più un impero euro-asiatico (…) Se invece M0sca dovesse riconquistare il dominio sull’Ucrania con 52 millioni di abitanti, importanti risorse naturali e l’accesso al Mar Nero, la Russia otterrebbe automaticamente i mezzi per diventare un impero potente di estensione euro-asiatica.” (Brzesinski, The Grand Chessboard, 1997).
Per Chris Luenen: ”sarebbe abbastanza facile cercare di assicurare gli interessi occidentali in fatto di energia e di sicurezza tramite la costruzione di un partenariato con la Russia (e con l’Iran), pittosto che che continuare a mirare di sottomettere la Russia agli interessi e strutture occidentali”. L’autore continua ritenendo “la decisione di allargare la zona di influsso occidentale verso Est, tramite una progressiva espansione dell’UE e della NATO” come il più grave ”errore strategico dell’Occidente sin dalla fine della guerra fredda”. Chiarissimo. Prima di lui era stato il ministro degli esteri di Cuba, il comunista Bruno Rodriguez che, proprio a seguito del golpe a Kiev in febbraio chiaramente eterodiretto, aveva dichiarato: ”La volontà di estendere la NATO sino alle frontiere della Federazione Russa costituisce una grave minaccia per la pace, la sicurezza e la stabilità internazionale”. Una constatazione ragionevolissima per chiunque non sia accecato da una visione neo-colonialista della geopolitica, ma che né la neutrale Svizzera né i liberi mezzi di informazione europei si erano degnati di sottoscrivere.
Solitamente il giornale “Die Zeit” difende dei concetti e delle posizioni che sono rappresentati anche nell’establishment della politica tedesca. Nel conflitto dell’Ucrania il settimane aveva finora partecipato alla tendenza prevalente, cioè quella che giustificava il regime golpista di Kiev ad attaccare la Russia di Vladimir Putin e le forze definite come “separatisti pro-russi”. Se oggi invece questo giornale, i cui contenuti sono fortemente controllati, osa pubblicare un tale articolo che di fatto difende un riorientamento dei principi fondamentali della politica estera di Berlino (e di Bruxelles), siamo di fronte senza dubbio a qualcosa di sensazionale.
D’altronde non si tratta del tutto di una sorpresa, perlomeno per chi sappia analizzare le espressioni politico-ideologiche da un punto di vista materialista e dialettico: le forze dell’economia, le leggi dentro le quali si muovono i flussi di capitale, così come le leggi che determinano le relazioni tra gruppi capitalisti di diversa composizione nazionale, trovano forzatamente la loro espressione anche al livello delle sovrastrutture ideologiche. Importanti settori dell’industria tedesca, infatti, si sono nettamente opposti alle tendenze di seguire ciecamente il diktat di Obama, relativo alle sanzioni economiche contro la Russia. La Germania è oggi il Paese dell’area atlantica che si oppone in maniera più vigorosa all’egemonia statunitense. E il recente affare di spionaggio da parte del NSA americano (incluso lo spionaggio industriale) si rivolge non a caso in prima linea contro la Germania; arrivando addirittura a non risparmiare nemmeno la sfera privata della cancelleria democristiana Angela Merkel. Il che ha certamente aperto gli occhi all’uno o l’altro.
Osserviamo ancora che la tendenza fortemente anti-russa dei media tedeschi, viene fortemente contestata dai lettori. Da mesi, i blogger si rivoltano in massa contro le direttive informative delle maggiori redazioni. La maggior parte dei commenti dei lettori sui siti dei vari giornali si pronunciano contro la politica occidentale. E anche qui troviamo un’eccezione: questa volta, infatti, i lettori concordano con l’articolo e lo lodano: “Grazie, un vero raggio di luce nell’oscurità!” scrivono vari blogger.
Il portale german-foreign-policy.com, che si è fatto un nome come critico della svolta imperialista e delle tendenze militariste della Germania riunificata, trova l’articolo uscito sul “Die Zeit“ notevole proprio perché nei principali veicoli di informazione tedeschi (e non solo) prevaleva finora una narrazione collettiva di matrice chiaramente anti-russa, individuando in Putin il nuovo nemico della civiltà occidentale. Il contributo di Chris Luenen invece deroga di maniera significante a questa linea che finora era seguita anche dalla redazione del “Die Zeit“.
La Neue Rheinische Zeitung (NRhZ, orientata al giornale omonimo fondato nel 1848 da Karl Marx) fa osservare che le idee espresse dall’articolo dell’esperto in geopolitica non sono isolate: se ne comincia a parlare, insomma, pure a Berlino e persino nei circoli tradizionalmente orientati verso l’atlantismo e alla lealtà verso il governo nordamericano.
Non è la coscienza che determina la vita, ma la vita che determina la coscienza. E’ quanto asserivano i fondatori del socialismo scientifico Karl Marx e Friedrich Engels (nell’opera: “L’ideologia Tedesca“). Ciò che si vede adesso in Germania può sorprendere solo chi non è avvezzo all’analisi geo-politica su basi marxiste. Senza essere indovini, infatti, già da qualche mese in Svizzera qualcuno aveva previsto questa situazione. Stiamo parlando del Partito Comunista della Svizzera Italiana, che riunisce molti giovani esperti nello studio delle dinamiche economiche e nella cooperazione internazionale.
In un articolo del 15 aprile scorso, intitolato “Per la pace in Ucraina, no al neo-colonialismo!“, il Segretario politico di questa organizzazione, Massimiliano Ay, rivolgendosi esplicitamente contro la tendenza (accettata tristemente anche dal Partito Svizzero del Lavoro e da altre realtà di sinistra) di equiparere la Russia con le potenze imperialiste, spiegava: ”Se di conflitto inter-imperialista si vuole parlare, non è certamente la Russia a dover essere presa in analisi: la crisi ucraina con molta probabilità si è scatenata per la esplicita volontà degli USA di bloccare il rifornimento energetico russo all’Europa, inchiodando così in modo ancora più vincolante il Vecchio Continente al petrolio e al gas nordamericano: un passo necessario per evitare lo sviluppo dell’asse Berlino-Mosca-Pechino che potrebbe accerchiare Washington”. In pratica il confronto è fra l’imperialismo americano da un lato e i l’imperialismo tedesco (o comunque europeo) dall’altro. Una contraddizione che Russia e Cina, abilmente e senza sparare un colpo, stanno cercando di favorire così da indebolire le prassi guerrafondaie e neo-coloniali dei paesi occidentali contro i paesi emergenti e non allineati.
Durante una manifestazione di piazza per la pace in Ucraina a Bellinzona, lo scorso 31 maggio, Ay aveva tenuto un discorso nel quale, fra gli altri spunti di riflessione, indicava il fatto che “gli USA hanno un’economia molto indebolita, il dollaro presto non sarà più la moneta di scambio internazionale, i cinesi hanno appena salvato l’euro dal disastro e stanno ragionando sull’internazionalizazione della loro propria moneta. E ora la Russia ha fondato l’alleanza euroasiatica. Per l’economia americana sono tempi durissimi: Obama vuole impedire a tutti i costi che vi siano paesi europei che inizino a staccarsi dalla sfera di influenza di Washington per iniziare a cooperare strettamente con la Russia e le economia emergenti che girano intorno a Mosca e ai cosiddetti BRICS”. Il segretario del Partito Comunista aveva poi tuonato: “creare una guerra in Europa, far deteriorare le relazioni fra UE e Mosca è strategico per salvare l’economia americana a spese nostre!”. Ay aveva concluso spiegando come le sanzioni economiche contro la Russia stessero danneggiando solamente le industrie europee ed elvetiche: “lungi da me sostenere il capitalismo svizzero, ma il Consiglio Federale non riesce nemmeno più a difendere gli interessi nazionali della Confederazione e si rende schiavo degli Stati Uniti. E’ demenziale!”
Massimiliano Ay prendeva spunto dalle constatazioni che già in precedenza osservava l’economista marxista Gianfranco Bellini, autore de “La bolla del dollaro” (Edizioni Odradek), dirigente del Partito dei Comunisti Italiani (PdCI) e promotore della sezione Laika di Milano. Scomparso a fine 2012, Bellini era notoriamente molto legato ai comunisti della Svizzera Italiana (leggi), con cui condivideva le analisi sugli scenari geo-economici in atto.
Posizioni, quelle espresse da Ay, che non hanno però trovato eco sulla stampa svizzera allineata ai diktat atlantici, ma che oggi si sta rivelando vieppiù corretta. Come dicono i marxisti: l’analisi marxista aderisce a leggi scientifiche essenziali che un giorno o l’altro emergono in superficie e anche la borghesia sarà costretta a prenderne atto, come adesso è successo sul “Die Zeit“.
La notizia sembra assurda, ma è molto grave e sottolinea le crescenti tensioni ad Est: La Germania ha consegnato 120 dei suoi migliori carri al suo alleato polacco per contrastare l’avversario russo, in un contesto di crisi in Ucraina.
Carri armati tedeschi attraversano il confine polacco: anche se l’attraversamento avviene in treno, la notizia fa rabbrividire all’interno dell’opposizione ultra-nazionalista guidata da Kaszcynski.
Tuttavia, il governo polacco Tusk ha difeso strenuamente l’acquisizione: “In caso di conflitto, dovremo rivolgerci a Berlino,” e Berlino ha risposto che avranno bisogno della Polonia “in caso di guerra nell’Europa orientale.” Il “tono” è impostato, l’asse Berlino-Varsavia prepara il confronto con la Russia.
Un “regalo” tedesco per rafforzare il fronte orientale contro la Russia
In questa lotta comune, è la Polonia, ad essere in prima linea, in prossimità dell’enclave di Kaliningrad e della Bielorussia. Sarà necessario il meglio dell’industria bellica tedesca: il Leopard 2 consegnato in 120 esemplari.
Il contratto è stato firmato sei mesi fa, nel novembre 2013… Nello stesso periodo in cui l’allora presidente ucraino Yanukovich faceva marcia indietro e rifiutava di firmare l’accordo di associazione con l’Unione europea. Coincidenze inquietanti.
Da contratto, i carri sono stati venduti per circa 1 milione di euro l’uno, lontano dal prezzo stimato in 3 milioni di euro. Secondo il quotidiano polacco Politika, alcuni paesi sarebbero disposti a offrire molto di più, ma la Germania ha fatto una scelta geopolitica consapevole, anche a costo di perdere denaro nella transazione.
Già nel 2001 già, la Polonia aveva ricevuto in regalo 120 vecchi Leopard di prima generazione per la somma simbolica di 1 milione di euro.
Si conferma – con la consegna di questi carri costruiti nella RFT per combattere il nemico sovietico – il forte asse, volto a strutturare il fronte europeo della NATO, in caso di conflitto con la Russia.
Il Leopard 2 è considerato come uno dei migliori carri armati al mondo, il carro più esportato tra i modelli europei (in quasi 20 paesi). Gli equipaggi polacchi, che hanno conosciuto il T-72 sovietico, ora vantano la sua manovrabilità.
Godendo di uno scudo e di armi di ultima generazione, si dice che sia superiore ai modelli russi ereditati dall’era sovietica, T-72 o T-80.
Riarmo polacco per l'”alleato strategico” degli Stati Uniti
Per l’esercito polacco, questa acquisizione fa parte di un riarmo generale: a breve, la Polonia vuole sviluppare propri carri armati come ha fatto con il mezzo di trasporto blindato “Rosomak”, originariamente un modello finlandese, già in uso in Afghanistan e Ciad.
La Polonia vuole sostituire il suo armamento di origine sovietica (T-72 e BMP), derivante dal Patto di Varsavia con materiali conformi agli standard della NATO.
Essa prevede inoltre di diversificare le proprie forze armate, compreso l’acquisto di sottomarini per contrastare la marina russa nel Baltico.
Allo stesso tempo, l’integrazione della Polonia nel sistema di difesa antimissile americano rivela chiaramente il ruolo di “alleato strategico ” degli Stati Uniti, per citare Obama durante la sua visita a Varsavia nel giugno 2013, pilastro della NATO sul fronte orientale.
… e svolta militarista per la Germania presente su tutti i fronti
(Ucraina, Mali, Centrafrica)
Dalla parte tedesca, questa “vendita” è compresa nella svolta militarista evidenziata da un anno, se seguiamo il discorso del presidente Gauck e dei ministri degli Esteri Westerwelle e Steienmeier.
Discorsi tutti incentrati sulla necessità per la Germania di svolgere un ruolo più importante nel mondo, un ruolo di leader in Europa, e di intervenire sistematicamente nelle aree di conflitto.
Una nuova “Weltpolitik” (politica mondiale) basata sulla rimozione del tabù della ricostruzione della potenza militare e del nazionalismo tedesco.
Una politica che non è tardata a concretizzarsi. E’ noto che le azioni dell’opposizione ucraina erano alimentate dalle ambasciate polacche in prima linea e tedesche, più defilate.
Oltre all’Ucraina, la Germania ha deciso lo scorso anno di partecipare, è una novità, a interventi in Africa. Truppe tedesche sono presenti al fianco di quelle francesi in Mali da un anno, in Centrafrica da qualche settimana.
Cento anni dopo lo scoppio della prima guerra mondiale, nel momento in cui il militarismo tedesco rinasce dalle proprie ceneri, occorre guardare indietro nella storia: la crisi del capitalismo, le rivalità imperialiste, la corsa agli armamenti, le crescenti tensioni, tutti elementi che hanno portano alla carneficina del popolo.
Il grido “Nie wieder Krieg”, mai più guerra, risuona ancora in Francia, in Germania come sul Fronte orientale!
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