Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

“La mafia non esiste!”. Delinquenza più o meno organizzata e negatività sociale

Postato il 11 Luglio 2014 | in Italia, Scenari Politico-Sociali | da

“La mafia non esiste!”

Delinquenza più o meno organizzata e negatività sociale

tratto da www.resistenze.org – osservatorio – italia – politica e società – 09-07-14 – n. 506

Lo scritto qui riproposto era stato pubblicato su “La contraddizione” numero 33 del novembre-dicembre 1992.

Riguarda ciò che accadeva, come si viveva, ad Oppido Mamertina, in provincia di Reggio Calabria, per presa diretta. Oppido è ora agli onori della cronaca per una processione religiosa che ha visto, durante il suo svolgersi, un gesto di riverenza verso un esponente di una delle famiglie della delinquenza locale “n’drangatusa”. Sono passati più di venti anni. Pare ieri, pare oggi.

Tiziano Tussi

novembre 1992

Nel Nord i problemi delinquenziali, legati a simili comportamenti criminali – tangenti e corruzioni di vario titolo – assomigliano a quelli meridionali per quanto riguarda il livello dell’atto criminale in sé – ricerca violenta di denaro – ma ne differiscono per quanto riguarda l’orizzonte di accettazione e di ricaduta sulla società che li circonda. Per presa diretta sul campo di osservazione in un luogo ottimale, un paese calabrese ai piedi dell’Aspromonte, posso tentare di mettere assieme alcune riflessioni sociologiche sul “problema mafia”. In assenza di stato innanzi tutto si deve dire che risulta evidente la verità di quella frase che diversi mafiosi sempre hanno ripetuto e cioè che “la mafia non esiste!”.

Tale veritiera affermazione risulta essere tale se si tiene presente una divisione etica che intercorre nella società calabrese e/o meridionale. La presa in carico della “responsabilità” verso il grosso dei rapporti sociali divide i due mondi. Esiste un livello di vita vissuto da uomini e donne che non si vogliono, che non possono, responsabilizzarsi. Questi hanno rinunciato ad intervenire su quel crinale. In fondo per loro la vita è uno scansare le responsabilità che riguarda ogni qualsivoglia scelta, un prendere partito. Da questo punto di vista e di esistenza, ma solo da questo, affermare che la mafia non esiste corrisponde al vero. Se si vive senza intervenire, senza mettere i piedi nel piatto non si hanno problemi. Si aspetta un posto di lavoro che non viene mai, in fondo ricorrendo a piccoli aiuti o raccomandazioni – ma questo è comune nel Bel Paese -, non si richiede con forza che i servizi civili – ospedali, acqua, fogne, nettezza urbana e altro – funzionino, si frequentano i luoghi deputati del chiacchiericcio e dell’esibizione – piazza, corso -, si resta nella “tradizione”. In questo modo si deresponsabilizza la propria vita. Ecco allora che chi prende le responsabilità su di sé diventa un qualcuno che si situa ad un altro livello, che sta sopra al primo come livello economico, non sempre sociale.

Questi che decidono sono i mafiosi. Chiaramente eroi in negativo per la loro continua espressione di violenza sulla società storicamente deresponsabilizzata, ma dotati di una esistenza alla luce del sole. Tutti sanno chi sono gli uomini “mafiosi”, tutti sanno che cosa fanno, e se ne parla, velatamente “in paese” – o nei quartiere della città -, è patrimonio di “cultura comune”. Ma dato che questo livello non intercede sul primo se non nei momenti in cui i “deresponsabilizzati” osano invadere quell’altro – ed è logico pensare allora che sempre la risposta sarà violenta, di morte, i secondi, i mafiosi, difendono il loro territorio dall’intervento dei “non competenti” – la società meridionale nel suo complesso può venire tenuta assieme da una soggiacenza economica e da una alterità quasi totale a livello sociale tra i due strati. Logico che questi stridori hanno dei prezzi da pagare che si chiamano emigrazione e morte; ma il sistema di delinquenza sociologico organizzato sta in piedi. Il momento economico viene abilmente giocato in loco e con l’aiuto dell’autorità centrale, lo stato. Questi, nelle persone dei partiti e degli uomini dei partiti al potere, ricava dall’esistere della mafia linfa vitale per la sua esistenza in meridione. Ecco allora che l’economia, ambito per eccellenza della responsabilità, viene tenuta strettamente nelle mani di mafiosi e di uomini politici legati ad essi. La povertà è ricchezza. Lo scambio voti-corruzione-tangenti-denaro-voti tiene in piedi i due aspetti della responsabilità politica e sociale a livello delinquenziale. L’uomo civile che vorrebbe appianare questo genere di schizofrenia sociale ed intervenire sul livello della responsabilità si trova di fronte tali colossi e quasi nessuna possibilità di organizzazione. Da solo non può nulla, se non farsi ammazzare. Cosa che puntualmente accade quando qualcuno osa ricucire i due livelli summenzionati. Ecco che allora il momento economico decide alla lunga di quello sociale, che obbligatoriamente è diventato indipendente, al massimo grado di possibilità, anche se non totalmente, visto che non potrebbe neanche, da quell’altro. Si potrebbe spiegare così anche l’omertà che fa tanto inorridire chi non vive al Sud.

Questo atteggiamento mentale ne favorisce un altro che ha aspetti oramai incancreniti nella vita di tutti i giorni. Lo potremmo definire “la ricezione della norma”. Al Sud è usuale quando si deve comperare qualche cosa, chiedere un favore, presentarsi come “parente di…”. Anche per acquistare cartoline se il negoziante è un parente di… o un amico di… è d’obbligo presentarsi come facenti parte del clan. L’appartenenza al clan, anche per la soddisfazione di rapporti che il denaro dal medioevo in poi ha reso liberi da legami in società sviluppate socialmente – e questa deve essere considerata una grande vittoria del capitalismo – è meglio che sia mostrata, rende più “familiari”, almeno apparente mente i rapporti sociali.

Questa mentalità, che rifà nel piccolo la deferenza mafiosa, è segno che non ci si aspetta che la norma esista e/o che funzioni. Sono di gran lunga preferibili i rapporti interpersonali di clan. Anche al Nord le raccomandazioni funzionano ma l’aspettativa della norma è positiva. La legge ci deve essere, anzi c’è. La si può poi tuttavia aiutare. Ma il contrario, cioè la ricezione negativa della norma e della legge appartiene al sentire comune della concezione del mondo del Sud. Anche qui basti osservare, semiologicamente, come cambia il comportamento dei guidatori di autoveicoli quanto più ci si avvicina al Sud.

I nuovi comportamenti di negatività sociali sono certo un portato del livello di esistenza “moderno”. Chiaramente l’uso delle automobili è un portato dei tempi. Altro impatto terrificante lo ha la televisione e i media nelle loro espressione di quotidiana barbarie – pornografia stampata e culturale -. Le stesse stupidaggini che ci ammannisce la televisione arrivano anche nei luoghi più disagiati e disadattati, a livello culturale e sociale. Le ragazzine discinte che ballano in modo ammiccante ogni giorno sulle reti nazionali, gli spettacoli “contenitore”, i film di violenza ambientati in mondi lontani, almeno a livello di distanza geografica e culturale, scavano ancora di più nella testa dei giovani e dei meno giovani del nostro meridione. Si provoca quindi un altro iato: in un senso, da parte dei non più giovani, si fa ricorso alla tradizione del luogo, fatta di ricordi del passato, di difesa della verginità e di una sessualità nascosta, di un vestire che deve richiamarsi ad un certo pudore, del perbenismo dell’apparenza, e, dall’altro, nelle giovani generazioni, si assiste al tentativo di rottura continua di tutto questo, che riesce a bucare la coltre del passato solo a livello di ricezione passiva – guardare la televisione e simili – ed al massimo di nuovi abiti e nuove estetiche da esibire.

Negli anziani c’è un rimpianto per un mondo scomparso, che viveva la stessa divisione che abbiamo delineato all’inizio ma rivestita di una “signorilità” e di una decenza da “galantuomini” che oramai si è persa; i giovani al contrario che non recepiscono più, esteticamente, questi valori, vanno al sodo – i soldi -, salvo poi rispettare anch’essi, strutturalmente, a livello della personalità, la difesa del perbenismo che deriva loro dal passato. Questi viene infine solo cambiato a livello superficiale, rivestito da abiti, se è possibile, firmati, dalla ricezione passiva di spettacoli “sconci” e dalla confusione nei riferimenti culturali e politici che dimostrano evidentissimamente.

Sì, perché anche il mostrarsi vorrebbe la sua cornice. Non c’è estetica personale senza un “contorno” significativo. Indossare una Lacoste sotto la Tour Eiffel ha un senso, la stessa maglietta in mezzo all’immondi­zia ed agli odori delle fogne ne ha un altro. Ed ecco che anche questo apparire può alla fine solo scimmiottare quello vero, della grande città. La patacca sostituisce il modello, e ci si accontenta, sapendo che ci si deve accontentare. Ma nello stesso momento la patacca, ricevuta dai media, resta sempre il “nuovo” da raggiungere, che stride con il vecchio. E quindi non ci si mette un grosso impegno – neppure in questo – perché in effetti anche l’impegno estetico fa ridere, fa sparlare – quello chi crede di essere? -, ci si trascina, si fa lo “struscio” pure sul crinale della “nuova moda”. Guasti comunque questa modernità ne fa. Basti pensare cosa voglia dire guardare alla televisione le decine di teenagers, o poco più, che ogni giorno si dimenano sul video, con contorcimenti a chiaro richiamo sessuale, in zone di donne vestite in nero e di ragazze e ragazzi pataccari. Una bomba che implode ogni giorno. Le esplosioni poi divengono anche qui episodi da denigrare nei salotti delle grandi città, oramai assuefatte almeno a questo genere di espressioni “vitali”.

Questo permette di capire anche le sofferenze psico-fisiche di molti uomini e donne meridionali. Soprattutto sul piano psichico possiamo dire che sta montando sempre più al Sud una grande quantità di dolore. Stress chiaramente non dovuti alla frenesia della vita sociale, ma definibili in base alla repressione sessuale, caratterizzata da quel contrasto “tradizione-nuovo” a cui abbiamo prima accennato, sono presenti in modo massiccio, sempre mascherati. Il mostrarsi, senza tanto impegno, che è l’unica cosa che socialmente è permesso fare, il passarsi vicino, senza toccarsi, il guardare senza soddisfarsi, magari vestiti alla moda, quindi più provocanti, truccate, le ragazze, serve solo ad alzare la tensione. Quando poi dietro a questo livello di estemporaneità vivono ben altri strati di comportamenti abituali nel campo sessuale.

Gli uomini a volte fanno defluire la tensione, cadendo anche in atti delinquenziali – libidine contro minori, rapimenti della bella che non cede e altro -, le donne e le ragazze per lo più soffrono soltanto, non avendo il coraggio, questo per molte, di rompere l’omertà sessuale, di passare nel campo definito dalla taccia di prostituta, non avendo per alleato neppure l’uomo o gli uomini a cui esse si concedessero. Anche per i maschi, seppur repressi, vige nel sottofondo la morale puritana che ancora tiene ad un livello di (pseudo)esistenza. Quindi nessuno deve sapere che sto male e che avrei bisogno, in mancanza di libertà, almeno di uno psicanalista. Meglio emigrare, se possibile. Ma quando non lo è, tutto questo si ripercuote sul corpo.

Forse anche qui ci può venire in soccorso la considerazione che il meridione è terra ancora di magia, rispetto al Nord. Certo ora la fattucchiera ha perso di intensità ma fino a non molto tempo fa, in Lucania per esempio, la magia era molto presente. Ricordo gli studi di Ernesto de Martino a proposito. E la magia popolare non è forse il tentativo di risolvere guai e tensioni che hanno a che fare con impossibilità “intime” incidenti nella vita sociale? Che cosa è il malocchio od il morso della tarantola se non una espressione mirata e voluta di una sofferenza che, grazie al segno, si può comodamente esprimere? Tutto il Sud, compresa la Sardegna, ne è ancora pervaso. Aggiungiamo che poi la situazione della ricezione sanitaria è perlomeno disastrosa, ed ecco un’altra spiegazione alle difficoltà incontrate dai nostri connazionali meridionali.

Sarebbe necessaria allora una ri/costruzione strutturale e culturale. Ma si trova a questo livello un nemico in più: la chiesa. Messa ben al centro della vita sociale del luogo – la piazza, di solito – essa veleggia come un sughero sul fetore della decomposizione sociale del luogo. Pochissimi sono i casi di controtendenza da parte di uomini di chiesa. La maggioranza di essi si adagia e rinforza, venendone rinforzata a sua volta, sul modello di vita del luogo. Le processioni per i santi del luogo con la festa finale, i fuochi di artificio, la banda ed il cantante più o meno di grido che viene pagato decine di milioni dalla gente del posto. Nel mezzo di paesi che sono decadenti in tutti i sensi e che lasceranno nei fruitori solo il ricordo di una sera che sta già aspettando quella dell’anno che verrà.

Morti assassinati dalla “mafia” benedetti dai preti e nessuna controtendenza “politica” verso la ricucitura dei due livelli di socialità rispetto alla responsabilità. La teologia della liberazione non nasce nei paesi ricchi, quali l’Italia – anche se questo può sembrare, dopo quanto scritto, una palese ironia – ma non attecchisce nemmeno. Il corpo massiccio del cattolicesimo, che non sono i pochi casi dei vescovi contro corrente, ma che consiste delle centinaia di parroci di provincia e dei quartieri diseredati delle città, non ci pensa nemmeno, come tale, ad intervenire per ri/costituire culturalmente il meridione. Anzi, torno a dire, si presenta come un ostacolo in più da superare.

Per i comunisti cosa resta da fare. Più o meno tutto. È molto difficile intervenire, ma almeno si potrebbe smettere di pensare l’azione politica come ad una continua discussione sui massimi sistemi salottieri. La ri/costruzione del meridione ha bisogno di interventi strutturali e di difese strutturali. Il resto, fiaccolate, dimostrazioni nazionali sindacali, il comizio del grande uomo politico, serve a ben poco. Si deve rimanere sul campo e lottare localmente contro lo scempio che i partiti politici nazionali al governo da sempre, stanno continuamente, e con loro profitto, producendo nel Sud. Ma è necessario che sulle disparità socio-economi­che tra Nord e Sud si giochi una seria partita politica che deve essere recepita come battaglia di frontiera dal centro dei partiti [?] che si richiamano al comunismo.

Altrimenti come non cogliere la sostanzialità delle parole della Lega di Bossi? In mancanza di un “qualcosa” che riesca a funzionare, meglio lasciare il Sud a se stesso! Assolutamente imbecille nella sostanza e di impossibile funzionamento reale, ma rispondente, almeno in termini distorti alle distorte interpretazioni che si continuano a proporre del Sud. Se c’è del vero in quanto si dice e si pensa comunemente dei meridionali – lazzaroni, fatalisti, rinunciatari – spero di averne spiegate alcune ragioni. Ma questo vero non nasce sotto i cavoli. Il suo esserci è storicamente spiegabile e strutturalmente costituito. È a quel livello che bisogna rispondere. Mentre ero “sul campo” mi venivano in mente le discussioni che “a sinistra” ora vanno tanto di modo tra le varie anime (Pds e la sua “area comunista”, Rifondazione comunista, Verdi, Rete ed altri): l’onestà, la trasparenza delle istituzioni, le pari opportunità, il luogo delle donne, la non-violenza, il rapporto con i cattolici, lo strapotere dei partiti. Non sapevo se c’era da piangere o da ridere?

   Invia l'articolo in formato PDF   

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

AVVISI IMPORTANTI

Appuntamenti

Archivi

Tag Cloud