Un torto subito da un lavoratore è un torto fatto a tutti (IWW)

Documento sull’analisi della situazione economica

Postato il 21 Ottobre 2013 | in Italia, Mondo, Scenari Politico-Sociali | da

Riceviamo e pubblichiamo

Un documento lungo ma di indubbio interesse

Dal sito www.peruneconomiasolidale.wordpress.com

Con interventi economici come la Legge Finanziaria (Legge di stabilità) che il governo Letta vuole approvare, non c’è possibilità di rilanciare l’economia ed è certo che il divario fra i Paesi europei più sviluppati non potrà cheampliarsi . L’Italia e gli altri Paesi delle “periferie” europee avrebbero bisogno di politiche espansive e di un traino alle esportazioni che dovrebbe provenire dai Paesi europei (Germania, Belgio, Olanda, Finlandia, Lussemburgo..), che in questi anni hanno praticato politiche aggressive di contenimento dei salari ed espansione dei loro avanzi commerciali, come dimostra il documento qui di seguito.

I problemi economici dell’Italia sono in gran parte legati al governo tedesco

DEUTSCHLAND ÜBER ALLES

SINTESI:

– IL MERCANTILISMO EGEMONISTA TEDESCO A DANNO DEI PAESI VICINI ATTUATO MEDIANTE:

1) Sleale deflazione salariale competitiva

2) Enorme surplus commerciale a danno degli altri Paesi europei

3) Lavoro precario sottopagato e sussidi di disoccupazione come aiuto nascosto di Stato alle aziende – vietato dalla Ue – per integrare le basse retribuzioni.

4) Altri vantaggi impropri ottenuti grazie alla finanza pubblica

5) Evasione fiscale competitiva

– L’AGGRESSIVA COMPETITIVITÀ TEDESCA HA VIOLATO I TRATTATI EUROPEI IN MATERIA DI: 1)aiuti di stato 2)restrizioni quantitative all’importazione 3)mancata piena occupazione 4)stretto coordinamento e scopo cooperativo delle politiche economiche.

– LE RICETTE TEDESCHE SONO SBAGLIATE:

1) “L’austerità espansiva”è stata un “compito a casa” errato e controproducente

2) La deflazione salariale è ingiusta, scorretta e non funziona per numerose ragioni

3) Un enorme surplus commerciale è inapplicabile all’eurozona per diversi motivi

4) Merkel sbaglia mettendo al centro il problema dei debiti pubblici GIPSI (Grecia Irlanda Portogallo Spagna Italia) perchè il problema (qui) è il debito privato estero e gli squilibri nella bilancia dei pagamenti (come sostengono innumerevoli emeriti accademici internazionali qui, qui, qui, qui e altrove).

5) La crisi in Europa deriva soprattutto dal ruolo anomalo che la Germania ha voluto per la BCE (Banca Centrale Europea)

6) Gli errori della Germania le si ritorcono economicamente contro (meno crescita, produzione e investimenti interni; meno export verso i GIPSI; Banche in crisi; il suo debito vero è maggiore; calo degli ordinativi industriali; il numero dei sotto-occupati è altissimo; + diseguaglianza tra redditi).

– LE SOLUZIONI

1) Standard retributivo europeo per riequilibrare la sleale deflazione tedesca.

2) Riequilibrio tedesco dei flussi commerciali

3) +Domanda interna di beni e servizi da parte dei Paesi in surplus commerciale

4) Modificare il mandato della BCE

5) Un Fronte europeo contro l’austerità

6) Rinegoziare i Trattati europei (Patto di Stabilità, Fiscal Compact, Two pack…)

7) Maggior bilancio europeo per coprire i deficit.

*Questo simbolo* indica dati, link e bibliografia nel documento in allegato in fondo alla pagina

IL MERCANTILISMO EGEMONISTA TEDESCO A DANNO DEI PAESI VICINI*:

Superior stabat lupus…

Dal 2002 la Germania ha iniziato ad attuare politiche “beggar-thy-neighbour” (W. Munchau Financial Times), un’aggressiva concorrenza sleale per aumentare la competitività della propria economia a danno dei Paesi “periferici”, come riconosciuto dallo stesso economista Peter Bofinger, consigliere del governo tedesco.Vediamo in breve in cosa consistono.

1) Sleale deflazione salariale competitiva*

L’anomalia tedesca si rivela analizzando il tasso di crescita del costo di lavoro per unità prodotta (CLUP), dovuto sia alle retribuzioni, sia alla produttività. La BCE fissa il tasso di crescita dell’inflazione al 2% annuo, che ricade sugli stipendi. Per essere compatibile con questa soglia, il CLUP deve quindi crescere all’incirca di 2 punti percentuali annui, ma il contenimento delle retribuzioni nominali e soprattutto reali, ha consentito alla Germania di mantenere preventivamente, e senza alcuna giustificazione se non quella di una scorretta competizione commerciale, l’inflazione ben al di sotto. L’improprio vantaggio competitivo rappresentato dal minor costo unitario del lavoro, ha operato una redistribuzione della ricchezza a favore degli imprenditori e il sovrappiù di merci è stato in gran parte smaltito verso i GIPSI cui è stato riversato anche un cospicuo flusso di crediti finanziari (con l’obiettivo di realizzare maggiori rendimenti di quelli offerti dai Bund) affinchè comprassero il sovrappiù tedesco. L’arrivo dei flussi ha creato bolle immobiliari (Spagna, Irlanda, Portogallo…) e spinto in alto l’inflazione dei GIPSI, allargando sempre più il gap di competitività (quindi aumentandone il debito commerciale estero) e alimentando un debito privato fuori controllo, finanziato con altri capitali fino all’arresto improvviso (“sudden stop”) e al loro ritorno nel Paese di provenienza, quando ci fu la crisi dei subprime. La Germania ha dunque esportato (Il Sole 24 ore qui)“tragedia sociale”verso i suoi vicini, ma studi sulla povertà urbana in Germania qui e anche qui , ci dicono che pure all’interno il “modello tedesco” non ha funzionato, sebbene ai cittadini tedeschi, costretti a ridurre i consumi privati per metter slealmente fuori mercato altre economie europee, venga fatto credere che la colpa sia tutta dei “Paesi mediterranei e lazzaroni”, che avrebbero “vissuto al di sopra delle proprie possibilità”. Critiche alla scorretta deflazione della Germania sono venute dal commissario Ue agli Affari sociali Lazslo Andor, intervistato qui da FAZ.net, dal governo del Belgio che ha denunciato il dumping salariale tedesco, dal World Economic Outlook dell’Ocse qui, e dagli economisti tedeschi più obiettivi (Bofinger e Flassbeck). L’establishment tedesco non ha alcun motivo di essere orgoglioso di questa situazione, anche perché in totale contraddizione egoista con la sopravvivenza dell’Unione monetaria europea e in violazione dei suoi Trattati.

2) Un enorme surplus commerciale a danno degli altri Paesi europei*

Il saldo della bilancia commerciale (esportazioni meno importazioni) nei primi dieci anni di introduzione dell’euro (Prof. Borghi Univ. Cattolica Milano) è andato in attivo per complessivi 1.500 mld, portando dunque a casa un bottino incredibile, considerato che gli altri Paesi dell’eurozona sono i primi partner commerciali. La Banca per i Regolamenti Internazionali (BRI) qui ha di recente rilasciato un importante paper che si intitola “Caveat creditor”, dove mette in guardia dal surplus del conto corrente tedesco superiore al 6% del Pil fra il 2006 e il 2012. E già dal 2010 l’allora Ministro dell’Economia francese Christine Lagarde (oggi a capo del famoso FMI Fondo Monetario Internazionale) dichiarò pubblicamente come il continuo surplus dell’export tedesco rappresentasse una minaccia alla stabilità economica dell’intera area, che peggiorava il rapporto tra bilancia dei pagamenti e Pil, aumentando la divergenza reale tra i Paesi a dispetto dell’unificazione monetaria (UME). Una “crescita che crea miseria” (prof. Jagdish Bhagwati, Columbia University).

3) Lavoro precario sottopagato e sussidi di disoccupazione come aiuto nascosto di Stato – vietato dalla Ue – per integrare le basse retribuzioni*

La Germania ha egemonizzato i mercati dell’UME anche attraverso una riforma del mercato del lavoro che dal 2003, attraverso le 4 leggi Hartz, ha dato il via al lavoro precario. Furono introdotti i «mini-job», contratti di lavoro nero legalizzato (450 euro al mese senza contribuzioni sociali e senza copertura per la disoccupazione e la pensione), e i contratti «midi-job» (tra i 400 e gli 800 euro). Da allora gli “atipici” sono balzati dal 20 al 39 per cento degli occupati, stipendi e consumi interni si sono significativamente ridotti, e con essi l’import: le retribuzioni a fine 2010 non arrivavano neanche al livello del 1992*. Il calo dei sussidi statali ha poi spinto in su l’offerta di lavoro, accettato anche ad uno stipendio più basso o precario. Come confermato dallo stesso governo attraverso un’interrogazione parlamentare, il sussidio fornito dallo Stato è servito ad integrare i minijob, così il sistema manifatturiero-produttivo tedesco ha di fatto usufruito di un aiuto di Stato, vietato dalla UE, che ha permesso alle aziende di offrire uno stipendio insufficiente a vivere, consentendole di ridurre scorrettamente il costo del lavoro. Per finanziare la spesa pubblica connessa a disoccupazione e sotto-occupazione, a seguito delle riforme Hartz, la Germania ha anche violato il limite di deficit sancito da Maastricht.

4) Altri vantaggi impropri ottenuti grazie alla finanza pubblica tedesca*

a) Innalzamento nel 2007 dell’IVA dal 16 al 19% come barriera all’import;

b) sgravi fiscali enunciati da Roland Berger;

c) vantaggi a seguito dei contributi elargiti dall’Ipex alle aziende esportatrici, pari a 61 miliardi nel solo 2011.

d) Il vice-capo economista della banca statale tedesca KFW durante un’intervista di Report intitolata “Gli Austeri”, ha ammesso di poter fare prestiti vantaggiosi alle imprese teutoniche grazie alla possibilità di finanziarsi con tassi di interessi bassi simili a quelli dei bund tedeschi e di ricevere ulteriori contributi dallo Stato per mantenere ancor più bassi gli interessi. Un’evidente infrazioni ai Trattati europei, a cui le altre nazioni, compresa l’Italia, sono costrette invece ad attenersi rigorosamente per rispettare lo spirito di cooperazione e collaborazione che anima questi Trattati.

e) Aumento del grado d’indebitamento pubblico della Germania che dal 39% del 1991 supera la soglia dell’80% nel 2010 e nei due anni a seguire. Un maggior indebitamento da spesa pubblica avvenuto unilateralmente e in violazione dei parametri e degli scopi cooperativi del Trattato UEM, per poter esportare di più.

f) Guido Rossi, sul “Il Sole 24 Ore” del 28/4/13, scrive che secondo stime attendibili, il 40 per cento del debito pubblico tedesco è allocato presso fondi speciali, il cui deficit non figura nel bilancio federale. Per fare un esempio, gli incentivi per la rottamazione, uno dei cardini del sostegno all’industria automobilistica tedesca, non sono stati posti a carico del bilancio dello Stato ma del fondo pubblico ITF, e sono stati giustificati come investimenti per le tecnologie verdi anche se in realtà erano un sussidio ai consumi interni. In questo modo tra il 2009 e il 2011 il governo tedesco ha fatto passare come investimenti ben 20 miliardi di euro di spese a sostegno dell’economia.

g) Nel triennio 2009-11 con lo 0,60% del Pil la Germania ha versato a industrie e servizi più del doppio degli aiuti erogati dall’Italia, 0,23%. Tra il 2006 e il 2011 gli aiuti esenti da notifica sono arrivati in Germania al 64% , in Italia solo al 38,8%.

Se poi si combina la variabile aiuti con i livelli di tassazione su capitale e reddito d’impresa emerge l’ennesimo paradosso: i tedeschi sono quelli con meno tasse e più aiuti.

5) evasione fiscale competitiva*

Secondo lo studio di un importante Istituto economico tedesco, il Diw, a causa della complessità della materia e dell’insufficiente personale addetto ai controlli, le imprese tedesche hanno usufruito di un’evasione annua intono ai 90 mld di euro a partire dal 2000, che avrebbe toccato la cifra record di 120 mld nel 2007.

L’AGGRESSIVA COMPETITIVITÀ TEDESCA HA VIOLATO I TRATTATI EUROPEI IN MATERIA DI: 1) AIUTI DI STATO 2) RESTRIZIONI QUANTITATIVE ALL’IMPORTAZIONE 3) MANCATA PIENA OCCUPAZIONE 4) STRETTO COORDINAMENTO E SCOPO COOPERATIVO DELLE POLITICHE ECONOMICHE*

1) Sfondando il limite debito/PIL quando fece le riforme Hartz per finanziare con spesa pubblica il contenimento dei salari tedeschi attraverso aiuti massicci alle imprese, fuori da una situazione congiunturale in atto, sotto la forma indiretta di spesa sociale per integrare i salari dei lavoratori, la Germania ha violato:

A) l’art.107, paragrafo 1, ultima parte, dell’attuale trattato sul funzionamento dell’Unione (TFUE), in materia di “aiuti di Stato”, laddove si ottenga (appunto “in qualsiasi forma”) una riduzione dei costi delle proprie imprese, incidente sugli scambi tra Paesi membri, mediante la svalutazione del tasso di cambio reale, che provochi, a sua volta, un vantaggio concorrenziale asimmetrico “intenzionale”, sia per le proprie esportazioni, sia a favore di una restrizione delle importazioni;

B) l’art.107, paragrafo 3, TFUE, cioè il complesso delle clausole in tema di “legittimazione”, in sede UE, a ricorrere agli aiuti di Stato in funzione anticongiunturale e di tutela di interessi “sensibili”. Ed infatti la situazione attuale autorizzerebbe, tutti i paesi in strutturale deficit della bilancia dei pagamenti, con alti livelli di indebitamento privato/estero oltre la media per un periodo prolungato e significativo, (rilevabile sul sistema T2) a lanciare programmi di aiuto ai sensi dello stesso art.107, par.3, lett.a), b), d) del Trattato sul funzionamento dell’Unione, ma tali Paesi non possono farlo in quanto il Fiscal Compact, come corpo di disposizioni speciali “euro-zona”, impedisce deliberatamente l’adozione di misure essenziali in origine legittime secondo il Trattato;

– C) l’art.34 dello stesso Trattato sul funzionamento dell’Unione: “sono vietate tra gli Stati membri le restrizioni quantitative all’importazione nonché qualsiasi misura di effetto equivalente” (e tale è la deflazione salariale finalizzata a deprezzare il tasso di cambio reale, attuata a fini di una scorretta competizione mercantilistica).

2) Ponendo l’attenzione sulle politiche europee dell’occupazione, gli artt. 145-148 del Trattato sul funzionamento UE risultano violati fin dai primi anni 2000, anch’essi dalle riforme Hartz. Le clausole oggettivamente ignorate sono molteplici, come ad es. art.146, comma 2, TFUE, che si è risolto in misure di effetto equivalente alla restrizione delle importazioni rispetto agli altri Stati membri (art.34 st.Tr.). La Commissione europea avrebbe dovuto far rispettare i criteri di monitoraggio, coordinamento e promozione dell’art.147, tenendo conto dell’ “obiettivo di un livello di occupazione elevato”, cioè nel quadro dell’art.3, paragrafo 3, del Trattato sull’UE, che pone l’obiettivo della “piena occupazione” ed è dunque strutturalmente incompatibile con politiche del lavoro nazionali il cui effetto fosse la deflazione salariale non necessitata in base a congiunture internazionali, circostanza pacificamente ammessa anche dai tedeschi.

3) La Commissione UE ha inoltre mancato di attivare i meccanismi di accertamento e “avvertimento” previsti dall’art.120 par.4, TFUE, rispetto alla linea tenuta dalla Germania all’interno dell’area UEM. Gli art.119 e 120 del TFUE, obbligano gli Stati ad uno “stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri” (le riforme si sarebbero dovute decidere e attuare insieme), e a “coordinare le politiche economiche per realizzare gli obiettivi dell’art.3 del trattato sull’Unione europea” (più volte citato), tra cui appunto la “piena occupazione”;

4) L’art.127 del TFUE, che vincola la politica monetaria, oltre che alla stabilità dei prezzi, anche al sostegno di “politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’art.3 del trattato sull’Unione europea”.

6) È evidente la violazione se si esaminano i Trattati alla luce dello scopo essenziale cooperativo e del quadro complessivo degli obblighi gravanti sui vari soggetti coinvolti dai Trattati, in base all’art.5 del TFUE:

“1. Gli Stati membri coordinano le loro politiche economiche nell’ambito dell’Unione. A tal fine il Consiglio adotta delle misure, in particolare gli indirizzi di massima per dette politiche. Agli Stati membri la cui moneta è l’euro si applicano disposizioni specifiche.

2. L’Unione prende misure per assicurare il coordinamento delle politiche occupazionali degli Stati membri, in particolare definendo gli orientamenti per dette politiche.

3. L’Unione può prendere iniziative per assicurare il coordinamento delle politiche sociali degli Stati membri.”

La Germania venendo meno unilateralmente alla funzione socio-economica del Trattato, ha violato il dovere di adempimento secondo “buona fede” in senso oggettivo, e “correttezza” nell’onere di sostenere ogni ragionevole sacrificio per rispettare i vincoli comunemente assunti. Essa ha anteposto agli interessi comuni dell’intera Unione i propri egoistici interessi nazionali, a scapito di altri Paesi. Il comportamento del governo tedesco è stato deprecato da una Comunicazione qui della Commissione al Parlamento europeo ed all’Eurogruppo, e da organizzazioni internazionali come l’Ufficio Internazionale del Lavoro delle Nazioni Unite qui.

LE RICETTE TEDESCHE SONO SBAGLIATE

1) L’austeritàè stata un “compito a casa” errato e controproducente* I Paesi che oggi scontano una recessione più accentuata e duratura sono quelli che a partire dal 2009 furono sottoposti alle ricette di austerity più pesanti. L’evidenza dei fatti smentisce dunque gli apologeti della cosiddetta ‘austerità espansiva’- Francoforte e Berlino in testa- secondo i quali le politiche di tagli alla spesa, riduzione dei diritti dei lavoratori e aumento dei carichi fiscali avrebbero ripristinato la fiducia dei mercati e favorito la ripresa. Senza un rilancio della domanda aggregata e degli investimenti pubblici – con lo Stato datore di lavoro di prima istanza – non ci sarà mai ripresa dalla crisi economica. Il problema di fondo è che i Paesi in surplus commerciale non hanno aumentato la propria domanda quanto necessario (proff. Leon, Krugman, De Nardis, Cesaratto, Ian Bremmer e Roubini qui, Stiglitz, Strauss-Kahn, Brancaccio, Barba e De Vivo 2013, Bagnai, Coats, Stirati, Bibow, Saraceno qui, Cooper, Fantacci qui, Granville, Premio Nobel J.Mirrless, Realfonzo, Troost, S. Collignon qui, Gnesutta, H.W. Sinn, R.Hetzel Senior Economist della FED, Piga qui, P.Turner in uno studio pubblicato dalla Banca dei regolamenti internazionali di Basilea etal) per mettere gli altri Paesi nelle condizioni di vendere loro le merci. Da qui nasce l’austerità.

2) La deflazione salariale è ingiusta, scorretta e non funziona perché:

a) se tutti i Paesi tagliano le retribuzioni, il potere d’acquisto complessivo della comunità si riduce tanto quanto si sono ridotti i costi, e la contrazione dei consumi diventa tale che nessuno ci guadagna, neanche con le esportazioni. Lo stesso O. Blanchard, capo economista del FMI, cercò di stimare l’abbattimento del costo del lavoro che sarebbe necessario per rimettere in riequilibrio i conti esteri dei Paesi “periferici”: a parità di altre condizioni, i salari nominali dovrebbero subire un crollo dal 20 al 30%, per giunta secco, tanto che Blanchard definì «esotica» questa opzione, ritenendola politicamente inverosimile.

b) la caduta verticale della domanda abbatte il costo del patrimonio industriale ed immobiliare dei paesi colpiti, crea “mezzogiornificazione” (prof. Krugman), cioè desertificazioni produttive e migrazioni di massa dalle aree più deboli dell’ Unione. Si determina così una crescita del valore reale dei debiti che scatena insolvenze e fallimenti, quindi anche le banche vengono trascinate nel precipizio.

c) in Grecia il salario minimo fissato dalla legge è precipitato dal 2011 a oggi del 44%, da 877 a 490 euro, eppure, nonostante tali gigantesche cadute senza precedenti storici, la Grecia ha chiuso il 2012 con un disavanzo verso l’estero di 3 punti percentuali in rapporto al Pil.

d) Contemporaneamente anche la Germania ha fatto deflazione. Se tutti i competitori abbassano i salari, non vince nessuno e l’unico risultato è una riduzione della domanda e della crescita, facendo avvitare l’eurozona in una spirale recessiva senza uscita.

e) Ci si accorge presto che non esistono mercati esteri in grado di sopperire al crollo della domanda interna così determinato e che anche quei mercati sono meglio serviti da chi investe in tecnologia rispetto a chi si avvale dell’allungamento dell’orario di lavoro, del taglio delle buste paga e dei diritti.

f) al rischio di deflazione, dice l’OCSE qui, deve essere assegnato lo stesso peso del rischio di inflazione

g) Una riduzione dei prezzi e degli stipendi alimenta aspettative di una loro ulteriore diminuzione, peggiorando quindi anche gli investimenti.

h) Negli anni Trenta furono proprio i vani tentativi di Bruning di ripagare i debiti esteri a colpi di deflazione che crearono le condizioni materiali per l’ascesa di Hitler al potere*.

3) un enorme surplus commerciale è inapplicabile per diversi motivi:

a) se tutti sono parimenti competitivi a chi si vendono questi beni equivalenti nei prezzi? È un modello che si può applicare in un solo Paese, ma ovviamente non può funzionare per l’intera Europa poiché non vi sarebbe più una fonte di domanda interna alla zona Euro, in quanto le esportazioni dell’uno sono le importazioni dell’altro (proff. Eichengreen, 2012; Protopapadakis, 2012)

b) il raggiungimento dell’avanzo nella zona euro produrrà uno shock recessivo nell’economia mondiale. Chi lo compenserà? Il resto del mondo reagirà svalutando le proprie valute, cosa che sta già avvenendo (Giappone ad es.).

c) puntare sulla domanda proveniente dai “nuovi ricchi”, ad esempio, dei Paesi BRICS, non funziona perchè questi Paesi sono forti esportatori e potrebbero risentire delle nostre minori importazioni, con conseguente rallentamento a catena. L’Asia e l’America latina, poi, hanno ridotto la loro crescita e perciò non assorbiranno grandi quantità di export dall’Europa, mentre gli USA sono impegnati in una strategia di riduzione del deficit della bilancia commerciale.

d) l’export netto è stato conseguito a scapito della contrazione della domanda interna di beni e servizi, e questo ha come effetto che, dopo un pò, si brucia il sistema industriale per l’affossamento degli investimenti e la disperata ricerca degli ultimi risparmi di famiglie allo stremo.

e) come fatto notare anche dal prof. Collignon, è arduo pensare che le performance tedesche in materia di concorrenza internazionale possano reggere a lungo con investimenti caduti non solo così in basso ma soprattutto così a lungo così in basso.

4) Frau Merkel mette al centro il problema del debito pubblico dei Paesi GIPSI, che però come dicono i numeri qui cominciò a salire solo dopo l’esplosione della crisi finanziaria nel 2008-2009 e non prima, come erroneamente i teorici dell’austerity sostengono. Prima della crisi, infatti, Spagna e Irlanda avevano un debito addirittura minore di quello tedesco, mentre in Italia avevamo un avanzo primario qui dal 1992 (spesa pubblica al netto degli interessi inferiore alle entrate pubbliche) e un debito che stava diminuendo, ma che è aumentato a seguito della crisi per il calo del PIL – con peggioramento del rapporto debito/pil – e per il conseguente crollo delle entrate fiscali dello Stato. Prendendo poi in esame (Prof. Pastrello Univ. Trieste) l’andamento degli spread dal 1999 fino al 2007, appare evidente il quasi totale parallelismo nelle oscillazioni dei rendimenti dei titoli dei Paesi europei, che aumentarono solo nella primavera del 2011 e non prima, quindi i debiti pubblici precedenti non ne sono stati la causa. I problemi europei sono invece la crescita e non i debiti pubblici (qui) ma il debito privato estero e gli squilibri esterni (proff. Krugman qui, De Grauwe, Cesaratto, Eichengreen 2010, la stessa Deutsche Bank qui, Brancaccio, Cooper Harvard University, Bagnai qui, Levriero, Realfonzo, Presbitero qui, Bibow, Stiglitz, Alessandrini, Fratianni, Hallett, Dornbush, Feldstein, Berger e Nitsch 2010, Gros 2012, De Nardis, Layard, Manasse e Roubini qui, Martin Wolf qui, Strauss-Kahn, Stirati, Munchau, Soros et al.). Questi squilibri hanno causato il collasso delle banche dei Paesi GIPSI e quindi l’aumento del debito pubblico per evitarlo, cioè la socializzazione delle perdite bancarie a spese dei contribuenti. E col fondo europeo EFSF prima e col fondo ESM oggi, noi italiani abbiamo pagato ben 50 miliardi finora(!) (Bankitalia qui) per rimborsare parte dei debiti che Paesi messi peggio di noi (noi ne avevamo solo in minima parte) avevano verso le banche estere. Altro che “la Germania non vuole pagare per tutti”, come strilla Frau Merkel. Siamo noi contribuenti che attraverso questi fondi stiamo pagando le banche francesi e tedesche, vedi il caso Grecia e Portogallo – e che finanziamo le banche in difficoltà, vedi il caso Irlanda, Spagna e Cipro.

5) La crisi in Europa deriva soprattutto dal ruolo anomalo che la Germania ha voluto per la BCE.

La BCE ha seguito il modello della Bundesbank anziché quello di tutte le altre Banche centrali del mondo, e nel Governing council della BCE i Paesi dell’area del marco (Austria, Belgio, Finlandia, Germania, Lussemburgo, Olanda) hanno fatalmente avuto il sopravvento. La crisi in Europa esplode quando le banche tedesche, in crisi per i subprime, devono rientrare dai loro crediti verso i Paesi GIPSI. La Germania mantiene in quel momento un atteggiamento di assoluta contrarietà alla monetizzazione dei debiti GIPSI da parte della BCE attraverso acquisto di titoli di Stato, determinando quindi una loro possibile insolvenza. Da allora cominciano ad impennarsi gli spread a causa del rischio di rottura dell’eurozona, e c’è una vendita massiccia dei titoli dei Paesi GIPSI e una fuga di capitali verso la Germania (cosa che le ha permesso di tenere bassi i saggi di interesse sul debito pubblico e di finanziare le proprie imprese con tassi inferiori a quelli degli altri Paesi). La fragilità dell’euro deriva dunque dal fatto che la Germania ha fortemente voluto per la BCE il solo compito della lotta all’inflazione, vietandole espressamente le funzioni – proprie di ogni vera Banca Centrale in tutto il mondo – di finanziatore di ultima istanza dei deficit dei Paesi aderenti, e di sostenitore della crescita economica. Ciò ha determinato un impossibile continuo inseguimento del debito da parte dei GIPSI, per cui ogni sforzo teso a ridurre il rapporto deficit (e debito)/Pil produce un effetto recessivo che causa nuove devastanti manovre.

6) gli errori della Germania le si ritorcono economicamente contro. Berlino prima impone uno standard di competizione elusivo dello spirito cooperativo delle regole dell’Unione europea, e poi pretende di imporre a chi ha subìto gli effetti distorsivi di tale politica, “compiti a casa” che finiscono per aggravare, oltre alla posizione dei Paesi debitori, anche la propria economia, cosa di cui si intravedono già evidenti segni qui.

a) meno crescita, produzione e investimenti*. Nel primo trimestre del 2013 il Pil è cresciuto solo dello 0,1% rispetto al precedente trimestre, molto meno delle attese, sottolinea il Sole 24 Ore qui. Il contenimento del disavanzo pubblico e delle retribuzioni deprime la domanda interna, le importazioni sono diminuite: ecco perché il Pil tedesco è cresciuto poco. Nei primi sette mesi, la produzione industriale è scesa dell’1,5 in Germania. Secondo gli studiosi del DIW, uno dei più prestigiosi centri di ricerca tedeschi, la carenza cronica di investimenti sta poi impoverendo il Paese.

b) meno export verso i GIPSI* La caduta della domanda interna nei Paesi GIPSI ha fatto diminuire le esportazioni tedesche verso questi Paesi, e secondo Patrick Artus di Natixis ciò ha comportato una minore crescita interna del Pil dell’ 1,5%.

c) Banche tedesche in crisi*, specie le banche regionali, anche per l’ingente esposizione verso le economie debitrici. I loro requisiti patrimoniali rimangono deboli anche a causa dell’alto livello di crediti deteriorati. Nei portafogli dei maggiori istituti con sede in Germania ci sono poi derivati per circa 1000 mld euro contro i 177 mld dell’Italia. La Deutsche Bank è una delle più esposte sui mutui subprime americani, ed è sospettata d’aver nascosto perdite per circa 12 miliardi su prodotti finanziari derivati. Ha messo in piedi un piano da 1900 licenziamenti fuori dalla Germania per risparmiare 3 mld euro con cui andare a coprire prossime perdite nel proprio bilancio.

Il contribuente tedesco ha salvato banche quali Hypo Real Estate con 140 miliardi, Commerzbank per altri svariati miliardi e le varie Landesbanken e Sparkassen colpite dalle rischiose operazioni nell’Est Europeo o sui mutui ipotecari americani, di cui sono state voraci procacciatrici.

d) il suo debito vero non è l’83% del pil ma il 105%, visto che si “dimenticano” sempre di considerare i titoli emessi dal Kfw (la Cassa Depositi e Prestiti tedesca), senza la quale anche noi saremmo sotto il 100%. Inoltre, come evidenziano gli studi fatti dalla Fondazione tedesca Markwirtschaft e dalla Facoltà di Economia di Friburgo, e come conferma Eurostat, il fatto che il debito pubblico, come calcolato in base alle regole scritte nel trattato di Maastricht, non includa il cosiddetto “debito pubblico implicito”, ovvero la proiezione sul debito pubblico futuro della spesa attualizzata per pensioni, sanità ed assistenza sociale, fa sì che non si considerino i rischi di sostenibilità futura del debito tedesco.

e) gli ordinativi industriali, cioè le «commesse» che permettono alle imprese manifatturiere di programmare il lavoro per i prossimi mesi, sono scesi del 4,8%. La restrizione della domanda interna e le politiche di austerità prescritte ai GIPSI dal governo tedesco hanno contribuito a questo calo. Ora i fabbricanti di singoli componenti destinati alla Germania (il Nordest italiano in primis) subiranno una contrazione degli ordinativi da lì.

f) Il numero dei sotto-occupati è altissimo Il Sole 24 ore qui ci informa che ai tre milioni di disoccupati non vengono aggiunti il milione di lavoratori impegnati nei corsi di formazione. Altri sette milioni di tedeschi lavorano inoltre nei “mini-jobs”.

g) La diseguaglianza nella distribuzione del reddito qui* è tra le più elevate nell’area euro, e superiore a quella di diversi Stati americani. Non dimentichiamo che ogni sistema economico deve essere giudicato in base alla sua capacità di garantire miglioramenti sostenibili di benessere al maggior numero di citta­dini possibile.

Questa situazione sta già ammorbidendo la linea tedesca di austerità, anche se non quanto dovrebbe

LE SOLUZIONI

1) Uno standard retributivo europeo*, allo scopo di riequilibrare anni di situazione sbilanciata, dando benessere al popolo tedesco e una maggiore coordinazione alla politica economica europea. La mancanza di un coordinamento delle politiche retributive è ciò che ha permesso alla Germania di attuare la scorretta deflazione salariale, impoverendo gli altri Paesi. Anche la Commissione europea da tempo spinge i diversi Paesi ad introdurre per legge un salario minimo e i sindacati europei sostengono lo stesso argomento da tempo. Gli ultimi dati Eurostat mostrano con chiarezza che il costo del lavoro unitario tedesco sta già aumentando.

La questione dei salari minimi non provoca disoccupazione (qui).

2) La Germania e gli altri Paesi che hanno beneficiato degli squilibri dei flussi commerciali, devono ora contribuire al loro riequilibrio*, anche perché hanno più risorse per farlo. Occorre fissare dei limiti per questi squilibri, ad esempio una soglia del 3% del PIL di ciascun Paese, sia in avanzo che disavanzo, con sanzioni per chi ne accumuli in eccesso, utili a finanziare un fondo per il mantenimento degli equilibri commerciali.

3)+Domanda interna di beni e servizi* da parte dei Paesi in surplus commerciale (Germania, Belgio, Olanda, Finlandia, Lussemburgo..), per chiudere il differenziale di competitività-costo che, per esplicita ammissione della stessa Bundesbank, è la principale fonte degli squilibri interni all’area euro. “La Germania deve avere inflazione ben sopra il 2%” ha dichiarato Blanchard, capo economista del FMI, al Sole 24 Ore, 28/3/2013. E aumenti salariali contrattuali sopra l’inflazione sono già stati ottenuti.

4) modificare il mandato della BCE:

a) Deve impegnarsi a sostenere la crescita economica (e quindi occupazione e retribuzioni), e agire come prestatore di ultima istanza, che è il principale compito delle Banche Centrali di tutto il mondo. L’intervento della BCE permetterebbe una stabilizzazione del rapporto debito/Pil, una riduzione dei tassi di interesse e si tradurrebbe in avanzi di bilancio necessari al sostegno della domanda aggregata e della crescita sostenibile. E verrebbero pure stabilizzate le banche.

b) Il timore di inflazione, in relazione all’intervento BCE nel sostenere illimitatamente i titoli di Stato europei, è privo di fondamento:

ì) è stato calcolato (Buiter (2011) che il “Non Inflationary Loss Absorbing Capacity-NILAC” della BCE è attualmente di oltre 3300 miliardi di euro. Solo oltre la soglia del NILAC si avrebbero effetti inflattivi, mentre la trasmissione dell’incremento monetario all’inflazione stessa sarebbe, nell’attuale situazione di “raffreddamento” della domanda in tutta l’area, molto basso e lento ad agire.

ìì) Il solo fatto che una Banca centrale assicuri acquisti illimitati nell’ammontare e nel tempo, determina la rinuncia alla speculazione sui titoli “protetti” (v. il dopo annuncio di Draghi) e, anzi, permette alla Banca centrale stessa di fermarsi a un volume di interventi nei fatti molto limitato, realizzando anche plusvalenze sugli acquisti dei titoli emessi con rendimenti precedenti più alti.

ììì) Negli Usa, dove la Fed ha comprato Buoni del tesoro per oltre 1.600 miliardi di dollari, e l’inflazione non supera il 3, 5%.

ìììì) In Germania si agita l’argomento che Hitler abbia preso il potere dopo l’iperinflazione degli anni Venti, ma a portare Hitler al potere sono state le politiche deflazionistiche dei primi anni Trenta, attuate in Germania e altrove per paura dell’inflazione (v. Richard Overy, storico*)

ììììì) i fatti dimostrano che durante una crisi, base monetaria e offerta di moneta seguono strade differenti ovunque.

d) la Banca centrale deve dominare la speculazione, avendo essa tutti gli strumenti per farlo (politiche monetarie; proibire le “vendite allo scoperto”; acquisto diretto sul mercato primario dei titoli del debito pubblico dagli stati europei; tassa sulle transazioni di obbligazioni e azioni; emissione di Eurobond; separazione per le banche delle attività speculative da quelle commerciali; sospensione delle valutazioni delle agenzie di Rating per i Paesi sotto programma di aiuti; istituzione di un’agenzia pubblica di Rating ecc).

e) Solo in Europa abbiamo l’anomalia di una Banca Centrale che detta la politica fiscale ai governi, perchè nel resto del mondo essa è dominio esclusivo della politica e non dell’autorità monetaria. La BCE, impregnata di cultura liberista, si è prefissa il fine ideologico della riduzione dell’intervento pubblico, aggredendo il welfare e gli stipendi pubblici, usando la politica monetaria come leva per ottenere dai GIPSI drastica deflazione reale e vendita dei capitali nazionali, comportandosi come il FMI verso l’America latina. La struttura autoreferenziale, tecnocratica e antidemocratica che presiede la BCE e il resto delle istituzioni comunitarie deve essere profondamente rivista e orientata a percorsi democratici.

5) Un Fronte europeo contro l’austerità

Se non sei al tavolo, da sempre, sei sul menù: gli Stati che non condividono la linea tedesca dell’”austerità espansiva” si devono organizzare (proff. Realfonzo, Piga, P. Leon et al), inaugurando una nuova stagione di politiche espansive. Le elezioni francesi, greche, italiane hanno dato ai vincitori un chiaro mandato anti-austerità che deve essere rappresentato con forza al tavolo europeo. Solo un’azione coordinata, potrebbe far ragionare il governo tedesco, ma la Merkel beneficia del fatto che negli altri Paesi europei sta governando la più mediocre classe politica mai vista negli ultimi trent’anni. Noi abbiamo avuto qualcuno che ha ridotto l’Italia ad un vaso di coccio mentre portava avanti la politica del “cucù”; poi c’è stato chi si è inginocchiato ancor di più davanti all’Angelona, scavando – mediante austerità – dopo che avevamo toccato il fondo; e oggi assistiamo agli indecenti pellegrinaggi in terra alemanna da parte di quei polli di Renzo che fanno a gara anche nell’imitarne la scorretta deflazione competitiva. Qui mira e qui ti specchia secol superbo e sciocco…

Se in Italia ci fosse un governo consapevole della tragicità della situazione, non andrebbe a Berlino o a Bruxelles per dire soltanto dei sì senza condizioni. Ai Consigli d’Europa si possono dire anche dei no, visto che l’Italia ha dimensioni troppo grandi per farla fallire e se l’Italia o la Spagna vanno male per gli altri è un disastro: simul stabunt vel simul cadent…. Per questo è indispensabile costruire un consenso fra governi del Sud Europa, opinioni pubbliche, economisti, attorno ad un insieme di politiche economiche alternative, fuori dalla crisi prodotta da neoliberismo e finanza. Per questo serve un’alleanza tra società civile, sindacati, movimenti sociali e forze politiche per portare l’Europa verso un percorso di maggior giustizia sociale e di democrazia più compiuta.

6) Rinegoziare i Trattati europei (Patto di Stabilità, Fiscal Compact, Six pack, ESM, Two packecc)

In questa fase in cui il settore privato è fermo e la domanda ristagna a causa delle insensate politiche di austerità, fare investimenti pubblici e domanda pubblica di beni e servizi è l’unico modo per rimettere in moto l’economia e creare occupazione. Se però la spesa pubblica non può essere aumentata perché ci sono vincoli di bilancio stabiliti da accordi internazionali, allora il Paese precipita dalla stagnazione alla recessione. Dovrebbero quindi essere rinegoziati in sede europea strumenti autoritari e invasivi come il “Fiscal Compact”, che impongono vincoli impossibili e controproducenti. Per dar fiato alla crescita vanno anche ridefiniti per l’Italia, con la Commissione europea, gli irrealistici obiettivi di rapporto deficit/PIL come si è già permesso a Spagna, Francia e Olanda, rinviando la stretta di bilancio che impedisce la risalita.

Dato che le modifiche dei Trattati europei richiederebbero tempi lunghi e comunque incompatibili con l’urgenza della crisi, andrebbe utilizzata nel frattempo, come sostiene il Governo francese, in modo innovativo la funzione dell’ ESM (il cosiddetto Fondo salva Stati), così da configurarla come una vera e propria Banca che acquisti titoli pubblici, sul mercato primario e secondario, con l’obbiettivo di mantenere i tassi di interesse al di sotto di un livello accettabile, per agevolare interventi sulla crescita in attesa del risanamento degli squilibri esteri da parte tedesca. A questa nuova funzione ESM la BCE dovrebbe garantire la liquidità necessaria, cosa già oggi consentita dai Trattati.

7) Maggior bilancio europeo per coprire i deficit

In tutti i Paesi del mondo esistono aree “ricche” e aree “povere”, e se le contraddizioni non prorompono è perché esiste un bilancio pubblico che funge da riequilibratore. L’euro per funzionare dovrebbe avere alle spalle un largo bilancio pubblico: già il Rapporto MacDougal e Delors auspicavano la creazione di un considerevole budget fiscale centralizzato per l’eurozona, al fine di stabilizzare shock regionali attraverso la redistribuzione delle risorse tra le regioni, realizzando un’adeguata ripartizione degli oneri dell’aggiustamento tra Paesi in surplus e in deficit all’interno dell’Unione monetaria. Ma il bilancio europeo non prevede alcun tipo di riequilibrio automatico, ed è pari ad appena l’1% del PIL dell’Unione, nonostante la depressione economica in atto. Negli Usa per es. i trasferimenti arrivano al 33% (20% agli Stati, 13% alle municipalità) delle entrate fiscali del bilancio federale e il sostegno finanziario conseguente oscilla tra i 9 e i 30 punti di PIL per i singoli Stati.

Accade poi che i Paesi in crisi continuino a contribuire al bilancio europeo sulla base di criteri che non tengono conto del ciclo economico, e così per es. l’Italia in crisi versa alle casse UE più di quanto riceve.

CONCLUSIONE

Il modello “Deutschland über alles“ si aggira per l’Europa, per conquistare quello “spazio vitale” da sempre ambito. Esso considera l’eurozona solo come area di espansione economica su cui operare per far diventare tutte le altre economie soggetto della propria subfornitura, oggetto di una fuga di cervelli dal Sud Europa verso il Nord Europa, mercato esterno dove smaltire il suo enorme sovrappiù, fornitori di manodopera a basso costo, oggetto di shopping dei patrimoni produttivi, dei servizi e delle aziende pubbliche. Quanto è difficile, per coloro che confidano nelle ricchezze entrare nel regno di Dio….La Germania si sveglierà dal suo sogno neo-colonialista quando i Paesi che soffrono lo scorretto dumping salariale tedesco e vedono umiliata la propria dignità si metteranno d’accordo per imporre un cambiamento nella politica di gestione della crisi che riequilibri finalmente la situazione. Berlino è infatti un problema per l’Europa e per l’euro perché non accetta di rispettare i Patti e non vuol capire che l’Unione è un luogo di collaborazione cooperativa, non di competizione. Per la Germania stare nell’euro ha onori ma anche oneri e Frau Merkel dovrà permettere una consistente riduzione dell’austerità nell’Eurozona e politiche che generino più spesa, sia in Germania che all’estero: il rallentamento dell’economia tedesca negli ultimi due trimestri e le previsioni pessimistiche sulla crescita dovrebbero saggiamente consigliarla in questo senso. Ma è del tutto probabile che la Merkel continui a preferire che la correzione del riequilibrio ricada solo a carico dei Paesi GIPSI, tant’è che ha già chiesto che vengano approvati a dicembre i Trattati bilaterali con cui tutti i Paesi dell’euro si legheranno a “programmi pluriennali di riforme strutturali”, ovvero al ridimensionamento dei diritti sociali e del lavoro.Potranno recidere tutti i fiori ma non potranno fermare la primavera, scriveva un famoso poeta cileno: alla scadenza delle elezioni per il Parlamento europeo, nella primavera del 2014, le proteste popolari che finora hanno occupato le piazze dell’eurozona, e la crescente insofferenza alle politiche di rigore che attraversa le nazioni europee potrebbero riversarsi nelle urne, scuotendo l’egemonia di Berlino e l’arroganza tecnocratica di Bruxelles e Francoforte. L’altezzosa difesa delle presunte virtù dell’”austerità espansiva” da parte della Merkel, si scontra infatti con la realtà dei numeri Eurostat che nei Paesi Ue contano ormai oltre 25 milioni di disoccupati e 120 milioni di persone a rischio povertà, con redditi bassi o precarietà anche quando si lavora e tagli drastici alla spesa sociale.

Un proverbio tedesco dice che “le spighe vuote tengono la testa alta”, stoltezza e arroganza vanno spesso a braccetto, ma, qualunque cosa si dica in giro (link) parole e idee possono cambiare il mondo

Franco Pinerolo

Ottobre 2013

http://www.cobasconfederazionepisa.it/wp-content/uploads/2013/10/DATI-LINK-E-BIBLIOGRAFIA.pdf

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