November 9, 2024
CAMERE DI COMMERCIO – DIPENDENTI IN STATO DI AGITAZIONE –
ANALISI DI UNA MORTE ANNUNCIATA
intervista a Roberta Colombini del Cobas Pubblico Impiego
Perché sembra unanime il plauso per la chiusura delle Camere?
Nel Decreto Legge sulla riforma della PA (DL 90/2014) all’art. 28 si prevede la riduzione del 50% a partire dal 2015, del diritto annuale pagato dalle imprese alla Camera di Commercio. Questa iniziativa governativa è spacciata nelle conferenze stampa ,ormai simili alle televendite in voga qualche anno fa, come un vero risparmio per le imprese (stimato in 400milioni di euro), promettendo di investire per il rilancio dell’economia. Ma di questi soldi, come della annunciata semplificazione non si vede ombra.
Ma come stanno le cose?
Per noi parlano i dati (studio CGIA di Mestre) – riscontrabili, certificati e pubblici – che smontano pezzo per pezzo lo “spot Renziano”.
L’incidenza del sistema camerale sulla spesa pubblica nazionale è lo 0,2%, stessa percentuale per quanto riguarda le spese per il personale. Dal 2003 (periodo pre-crisi e manovre restrittive sul piano occupazionale e della spesa pubblica) al 2012 il personale camerale si è ridotto del 11,9% (il doppio rispetto al totale del personale pubblico che conta una percentuale del -6,9%). Dal 2007 al 2012 il sistema camerale ha aumentato del 47% le risorse destinate agli interventi economici, al fine di sostenere le imprese durante la crisi economica. Quasi la totalità del mondo imprenditoriale è concorde nel riconoscere le Camere di Commercio quali istituzioni pubbliche più efficienti nel prestare servizi alle imprese, infatti ben l’81% delle aziende con meno di 50 dipendenti giudicano efficienti le Camere di Commercio, la percentuale sale all’88% per le aziende di maggiori dimensioni (indagine IPSO-Tagliacarne). Le Camere si autofinanziano per l’81% (nessun trasferimento statale). Le spese di funzionamento (personale e consumi intermedi) sono nei bilanci camerali pari al 46% della spesa totale contro un 70% nella pubblica amministrazione. Le Camere erogano 81,6milioni di euro come sostegno al credito, soprattutto a beneficio delle piccole e medie imprese – i finanziamenti erogati dalle Camere ai Confidi dall’inizio della crisi sono aumentati dell’87%.
Quali sono le ricadute di questo Decreto legge ?
Prendiamo l’attuale testo e passiamolo al setaccio
Riflessi sull’economia:
Il dimezzamento delle risorse economiche obbligherebbe le Camere ad una revisione della propria attività promozionale a favore delle imprese con un inevitabile ricaduta negativa sul tessuto socio economico del territorio soprattutto per le piccole e medie imprese. A fronte di un risparmio di spesa medio/annuo per impresa di circa 63euro – pari a 5,2euro al mese – ci saranno meno risorse (400milioni) per credito, export, turismo, innovazione, formazione, ecc. che produrranno un effetto recessivo complessivo di circa 2,5miliardi di euro.
Le Camere non sarebbero più in grado di garantire le risorse per i contributi Confidi (accesso al credito) previsti dalla Legge di stabilità (articolo 1 commi 54-55), che dispone che le Camere di Commercio per gli anni 2014-2015 e 2016 debbano destinare ben 70milioni di euro l’anno.
Conseguenze sul bilancio dello Stato:
Le Camere sono sottoposte a tutti i vincoli di spesa ed obblighi di risparmi previsti dalla normativa vigente per le pubbliche amministrazioni; è innegabile che una riduzione drastica degli introiti comporti un’altrettanta riduzione dei versamenti allo Stato che ad oggi ammontano a 31milioni di euro per risparmi e 50milioni di euro per imposte locali e nazionali, che verrebbero inesorabilmente a mancare.
Riflessi occupazionali:
48 Camere, su un totale di 105 non sarebbero più in grado di sostenere i costi del personale e di funzionamento. Nella regione Sicilia la situazione è ancora più seria in quanto le pensioni del personale in quiescenza sono pagate con i bilanci delle Camere e non dall’INPS (22milioni di euro annui); lo Stato dovrebbe pertanto accollarsi questi costi. Circa 2.500 lavoratori a rischio esubero che si tradurrebbero in un maggior onere per lo Stato di circa 89milioni di euro (come la mettiamo con il fiscal-compact?).
Nei prossimi giorni ci sarà una accelerazione dello smantellamento delle Camere?
In questi giorni si assiste ad un susseguirsi di iniziative volte a processi di fusione tra Camere. In Piemonte è stato deliberato in consiglio Unioncamere regionale il passaggio da 8 a 3 Camere, così anche in Emilia Romagna che è presa come regione di riferimento per procedere a tali fusioni e accorpamenti. Le direttive nazionali parlano chiaro: procedere con un autonomo processo decisionale che porti ad una razionalizzazione della rete territoriale camerale.
Ci si chiede. PERCHE’ TUTTA QUESTA FRETTA? PERCHE’ PROPRIO ORA, CON UN DL IN FASE DI APPROVAZIONE E UN DDL CHE NON E’ ANCORA USCITO?
NON SARA’ CONTROPRODUCENTE ATTIVARSI IN UNA FASE COSI’ INCERTA? (ci sono emendamenti presentati per l’art.28 del DL90/2014, il testo del DDL non è ufficiale e sarà sicuramente programmato in Parlamento dal settembre prossimo – semprechè non ci siamo sorprese a seguito del dibattito “acceso” sulle riforme costituzionali).
A completare il quadro di insicurezza e etereogeneità di iniziative, ci pensa il neo-presidente della Camera di Firenze (un caso??) Basilicchi, che nei giorni scorsi ha deliberato in Giunta l’uscita della Camera da Unioncamere regionale (24 persone a rischio) e che non perde occasione per rimarcare la propria linea politica che si delinea come “morte” (sue parole) del sistema.
Quali sono le richieste dei Cobas?
Nessuna primogenitura delle iniziative in corso, noi siamo per l’unità delle lavoratrici e dei lavoratori, un fronte unico almeno da organizzare dentro le Camere. Ma se una trattativa ci sarà non deve essere al ribasso e il punto di partenza è quello del personale, quali garanzie il Governo offre
COME COBAS CHIEDIAMO PER TUTTI I DIPENDENTI DEL SISTEMA (Camere di Commercio, Unioni e Aziende Speciali) LA SALVAGUARDIA DEI LIVELLI OCCUPAZIONALI SALARIALI E DELLE PROFESSIONALITA’ DEL PERSONALE IN SERVIZIO.
CHIEDIAMO INOLTRE L’INTERVENTO DEI PRESIDENTI DI REGIONE PER TUTELARE I LAVORATORI, ANCHE ATTRAVERSO ATTI D’INTESA CON LE PARTI SOCIALI E ISTITUZIONALI.
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