October 8, 2024
Ancora una morte nel settore lapideo e questa volta la vittima è un operaio interinale di 61 anni, un marmista con anni di esperienza ma un’ occupazione instabile e un reddito ancora piu’ incerto.
Ormai anche le istituzioni locali si sono rese conto dell’emergenza dopo averla sottovalutata per anni.
Come avvenuto con l’Ilva a Taranto, l’estrazione e la lavorazione del marmo veniva ritenuto un lavoro pericoloso ma fonte occupazionale imprescindibile per il territorio apuano, anche se nel corso degli anni c’erano state le proteste dei cittadini contro l’inquinamento provocato dal continuo afflusso dei camions
Citiamo la cronaca di sei anni fa per rinfrescarci le idee:
“Gli abitanti del comitato “anti-bisonti” protestano per il passaggio nel centro di Tendola dei camion del marmo che scendono dalle cave di Campo cecina per raggiungere Carrara. “I camion transitano su una strada – hanno detto i manifestanti – dove esiste un divieto per i mezzi che superano le 25 tonnellate e i nove metri di lunghezza”.
Il caricamento e il trasporto dei blocchi sui tir è rimasto il solo strumento per condurre il marmo alle officine per essere prima lavorato e poi esportato nel mondo, nessuno in questi anni si è mai posto la domanda; esistono altri modi per portare il marmo, magari riducendo la pericolosità nelle lavorazioni e sgravando alcune piccole frazioni dal continuo passaggio dei camions?
Ma in questi anni spesso non si è parlato di infortuni e di morte per una complicità culturale con l’industria del marmo, la crisi economica e sociale che ha investito 25 anni fa il comparto lapideo apuo-versiliese ha prodotto una desertificazione industriale e la paura di perdere anche questa fonte di lavoro ha scoraggiato gran parte dei sindacati a praticare una costante denuncia, ad imporre orari di lavoro e processi lavorativi diversi. Infatti, sebbene spesso fortunatamente le misure di prevenzione nei luoghi di lavoro sono applicate (e dietro a ciò padroni e istituzioni si nascondono come struzzi), non vengono mai presi in considerazione i ritmi e i carichi di lavoro: si può dire che un operaio che lavora 50 ore la settimana lavora in sicurezza?
Inoltre anche nel lapideo si sono diffuse, soprattutto dopo la crisi della fine degli anni ’90, le più svariate forme contrattuali: (false) partite iva, interinali, precari, soci di cooperativa..
Ma scopriamo anche come l’organizzazione del lavoro sia costruita su un numero ridotto di personale, senza attenzione alle normative di sicurezza, si lavora in pochi e a rischio della propria vita.
Gli ispettori della Asl sono pochi ma in una area dove esiste praticamente una sola committenza non è facile scontrarsi con i padroni del marmo e per padroni intendiamo anche alcune cooperative che della cooperazione hanno ben poco.
La questione non sta tra il piegarsi ad un modello produttivo che crea morti e ricchezza per pochi e una visione ambientale che giudica le cave un lusso inutile per mercati di nicchia, noi pensiamo che si debba ragionare sulle condizioni di vita e di lavoro nel carrarino a partire dalle condizioni di lavoro nelle cave, dai troppi silenzi omertosi che hanno taciuto di fronte a un numero impressionante di morti, di feriti e di malattie professionali molte delle quali senza riconoscimento alcuno da parte della autorità competenti.
Prendere coscienza che il marmo non dà solo lavoro (sempre piu’ precario e mal pagato perché quella che poteva essere un tempo aristocrazia operaia oggi è una forza lavoro sottopagata con un contratto da pochi soldi e sovente al nero) ma deve stare all’interno di una gestione delle risorse del territorio su cui lavoratori e cittadini debbono avere diritto di parola: non possiamo dimenticarci che il marmo è un bene pubblico in concessione ai privati, è necessario che il controllo su questa risorsa sia il più diffuso possibile.
Cobas Lavoro Privato Pisa e Versilia
Lascia un commento