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Affari, consigli e abbracci Banche che amano Renzi

Postato il 25 Agosto 2014 | in Italia, Mondo, Scenari Politico-Sociali | da

Affari, consigli e abbracci

Banche che amano Renzi

LA FINANZA D’OLTREOCEANO, CHE GLI HA INDICATO LA ROTTA RIFORMATRICE, ADESSO SPERA NEI BUONI UFFICI DEL NUOVO ARRIVATO A PARTIRE DA ETIHAD

di Giorgio Meletti

Il 26 maggio scorso, a spoglio delle elezioni europee ancora in corso, la banca d’affari Jp Morgan (seconda al mondo dopo la Goldman Sachs) ha emesso un curioso bollettino della vittoria: “Matteo Renzi sarà a capo del partito più forte nel blocco socialista e questo gli darà una importante influenza a livello europeo. Il suo risultato apre la possibilità che l’Italia abbia, insieme alla Germania, un ruolo più forte nella direzione generale della politica nell’Eurozona”. Il giorno dopo il premier italiano, nel corso della cena informale dei capi di governo a Bruxelles, si è rivolto ai colleghi con parole analoghe: “Con la forza di guidare il partito che ha ottenuto il miglior risultato e governare il paese che ha la maggiore affluenza alle urne, vi dico che anche chi ha votato per noi ha chiesto di cambiare l’Europa”.

Questa eclatante consonanza aiuta a capire i nodi irrisolti nel rapporto tra il governo italiano e il sistema di potere sovranazionale che fissa le rotte europee. Il 28 maggio 2013, mentre Renzi si lanciava alla conquista della segreteria Pd, la Jp Morgan ha pubblicato il documento di cui diamo ampia sintesi, con prescrizioni stringenti per le riforme da fare in Italia, a cominciare da quella della Costituzione, frutto sorpassato dell’antifascismo e troppo parlamentarista a discapito del potere dell’esecutivo; per continuare con riforma della giustizia e della burocrazia, del mercato del lavoro e della legge elettorale. Una ricetta che Renzi ha poi applicato con disciplina.

ALL’INIZIO c’è l’innamoramento di Renzi per Tony Blair, il suo modello. Nel 2011 il suo libro Fuori! inserisce l’ex premier britannico (“Fare politica significa dare una chance all’impossibile”) in un Pantheon di pensatori che va da Piero Calamandrei all’arbitro Pierluigi Collina, passando per Johnny Stecchino. Il 1 giugno 2012, pochi giorni dopo l’annuncio che Renzi sfiderà Pier Luigi Bersani per la candidatura a premier, Blair concede all’allievo un pranzo a quattr’occhi. “Gli ho chiesto dei consigli”, dirà poi il sindaco. Blair, finita la carriera politica, è diventato un consulente di punta della Jp Morgan. E infatti si è presentato a Firenze con il capo della banca, Jamie Dimon, che insieme a Renzi ha incontrato alcuni potenti uomini di finanza italiana e internazionale. Nessuna dietrologia. L’idea che negli uffici di Jp Morgan ci sia il burattinaio che tira i fili del premier di Rignano confligge con un semplice fatto: Goldman Sachs non lo permetterebbe. E poi potrebbe essere il contrario, la Jp Morgan che scommette su un emergente dal quale attendersi, a tempo debito, un occhio di riguardo. Le grandi banche non fanno solo documenti per spiegare ai popoli come governarsi. Soprattutto fanno affari. Basti ricordare il ruolo di Jp Morgan nel disastro Monte dei Paschi, per il quale ha alcuni conti in sospeso con i tribunali italiani. E basti notare che Renzi, il 20 febbraio, prima ancora di giurare, corre a spiegare allo sceicco Khaloon al Mubarak che il suo governo non ostacolerà la scalata all’Alitalia di Etihad, che ha Jp Morgan come advisor. Renzi insegue in modo apparentemente disordinato quei poteri forti che, secondo Massimo D’Alema, lo avrebbero scelto come terminale “per liquidare la sinistra”. Il 30 settembre del 2012, in pieno scontro con Bersani, aveva pronto un incontro fiorentino con l’ex presidente americano Bill Clinton, che però si è dato. “Avevamo messo in piedi l’incontro sulla base di una serie di rapporti, ma evitando che diventasse una sorta di endorsement al – le primarie”, ha commentato Renzi facendo il riservato. Il sospetto è forte, ma non possiamo dire con certezza se cercasse davvero consigli o un selfie da twittare. E questa rimane l’ambiguità del personaggio, mentre cresce presso partner europei e poteri forti vari il dubbio che parli ai mass media anche quando li guarda negli occhi.

IL SOSTEGNO DI BLAIR non è mai venuto meno. Quando Giorgio Napolitano incarica Renzi di formare il governo, si sbraccia per il giovanotto sponsorizzato dalla sua banca: “L’Europa ha bisogno che l’Italia assuma il ruolo che le compete, e i leader europei dovrebbero sostenere compatti Matteo mentre si assume la responsabilità per il futuro del suo Paese”. Il 1 aprile l’allievo invita a cena il maestro all’ambasciata italiana a Londra. Blair in tempo reale spiega in un’intervista a La Repubblica che la crisi darà a Matteo “l’opportunità di compiere quei cambiamenti necessari che finora non sono stati fatti per le resistenze di lobby e interessi speciali”. Poi però accadono due cose eccentriche rispetto all’ortodossia Jp Morgan. La prima è che Renzi, al momento del trionfo alle Europee, arringa l’Europa: basta col rigore, bisogna tener fuori gli investimenti dal patto di stabilità, aprendo così la strada a “un’operazione keynesiana straordinaria in 5 anni da più di 150 miliardi” per opere pubbliche e politica industriale. Più spesa pubblica? “Keynesiano” è un aggettivo che in casa Jp Morgan non piace, e neppure in casa Blair. Poi arriva il taglio agli incentivi delle energie rinnovabili, retroattivi rispetto a patti ventennali firmati dai precedenti governi. E questa è la cosa che tra gli investitori internazionali produce un altissimo tasso di odio per l’Italia e i suoi politici. Adesso Renzi deve decidere che cosa dire ai prossimi vertici europei. Ma i segnali sono già arrivati: stravolgere la Costituzione secondo le direttive di Jp Morgan potrebbe non bastare.

(tratto da Il Fatto Quotidiano, 19 agosto 2014)

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